Le Termopili di Suez

Canale di
Canale di Suez

Il primo, immediato, effetto del maxi-ingorgo creato dalla nave Ever Given rimasta bloccata di traverso per più di un giorno nel Canale di Suez è stato l’improvviso rialzo del petrolio che ha visto il prezzo del barile andare oltre i 60 dollari (+5%). L’immagine di una tra le principali vie d’acqua commerciali del mondo intasata dalla nave battente bandiera panamense e noleggiata dalla compagnia taiwanese Evergreen ha fatto il giro del mondo: da molte ore il traffico è congestionato, con ritardi che si accumulano e decine di navi all’àncora in attesa di poter proseguire sulla rotta che collega il Mar Rosso al Mediterraneo. Il potenziale danno economico causato dai rallentamenti che si ripercuoteranno a catena sui porti e le infrastrutture logistiche di approdo è nei numeri: dal Canale di Suez transita il 30% delle portacontainer e il 12% del traffico di merci a livello mondiale, il 10% del petrolio scambiato via mare passa da lì così come il 9% di Gnl, gas naturale liquefatto. Solo l’anno scorso, nonostante la pandemia e il blocco dei traffici, sono passate circa 19mila imbarcazioni di varia dimensione, per una media di circa 50 navi al giorno secondo i dati forniti dal portavoce dell’Autorità del Canale George Safwat. Nel 2020 le sole petroliere in transito sono state cinquemila, bene 686 quelle per il trasporto di gas naturale. Per quanto riguarda l’Italia, “circa il 40% di tutto l’import-export marittimo transita da questo punto strategico”, rileva Massimo Deandreis, Direttore generale SRM, centro Studi di Intesa Sanpaolo.

Sebbene il traffico sembra essere in graduale ripresa, ci saranno probabili effetti sulle consegne. “Le conseguenze economiche dipenderanno dal tempo necessario per far tornare a galla la nave”, dice all’HuffPost Olaf Merk, coordinatore dell’International Transport Forum dell’Ocse su porti e shipping. “Ma non dimentichiamo – aggiunge – che l’affidabilità negli orari delle navi portacontainer è già al minimo storico e che i vettori hanno regolarmente aggirato il Canale di Suez quando gli conveniva”. Se c’è una nota positiva nell’ingorgo provocato dalla più grande nave mai incagliatasi nei 152 anni di vita del canale di Suez è certamente quella di aver palesato quali sono i rischi derivanti dalla corsa al gigantismo dei grandi armatori. 

Piccolo passo indietro. Alle ore 7.40 locali  (6.40 in Italia) di martedì la portacontainer Ever Given si è incagliata al chilometro 151 del Canale di Suez. Costruita nel 2018, è una delle navi moderne per il trasporto di container, una ultra large container carrier (Ulca) lunga 400 metri, più della Torre Eiffel di Parigi e dell’Empire State Building di New York, e larga 59 metri per un carico potenziale da 224mila tonnellate. Con una portata nominale di 20mila Teu, l’unità di misura dei contenitori, è tra le navi più grandi al mondo anche se molte arrivano a 24mila Teu e già se ne progettano di maggiori dimensioni. È partita dalla Cina ed era attesa al Porto di Rotterdam per il 31 marzo, porta d’accesso privilegiata per le merci provenienti da Oriente e destinate ai mercati europei. Il canale di Suez consente infatti di abbattere di quasi due settimane i tempi di navigazione rispetto alla rotta alternativa che passa da Capo di Buona Speranza. Le cause dell’incidente non sono ancora del tutto chiare ma di certo l’evento scatenante è stato il maltempo: secondo la compagnia di navigazione taiwanese, l’Ever Given è rimasta incagliata a causa di forti raffiche di vento da 40 nodi e la scarsa visibilità per la tempesta di sabbia. Pare, tuttavia, che sia stato un blackout ad aver impedito alla nave di manovrare per evitare di arenarsi. Per cercare di divincolare la portacontainer sono intervenuti sul posto otto rimorchiatori oltre a degli escavatori per liberare lo scafo. 

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