Le Termopili di Suez

Tutte le navi in transito sono state costrette a fermarsi creando enormi ingorghi sia a sud, all’imbocco del canale, sia a nord, a Port Said, in Egitto. Secondo il sito TankerTrackers più di venti petroliere e sette navi di Gnl sono rimaste ferme tra le due estremità del Canale. La più grande linea di container del mondo Maersk ha detto che finora sette delle sue navi sono state colpite dal blocco, aggiungendo che “quattro di loro sono ferme nella rete di canali mentre le altre aspettano ancora di entrare”. In totale sono più di un centinaio le imbarcazioni costrette a fermarsi o invertire rotta. 

I ritardi rischiano di aggiungere ulteriore stress sulle catene di approvvigionamento di beni di consumo e materie prime che ancora faticano  a riprendersi per i duri colpi inferti dalla pandemia. Non si esclude infatti che se i ritardi dovessero continuare ad accumularsi, molti vettori decidano di intraprendere la rotta più lunga che circumnaviga l’Africa, rispetto al Canale che consente di accorciare la rotta tra Singapore e Rotterdam di seimila chilometri e quasi 14 giorni. Inaugurata nel 1869, lungo 193 km, largo 205 metri e profondo 24, la via marittima ha vissuto negli anni diversi periodi di espansione e ammodernamento per adeguarsi ai cambiamenti nel commercio marittimo. L’ultimo, quello avvenuto nel 2015, ha permesso finalmente l’accesso alle Ulca grazie a un canale parallelo di 22 miglia. Altri lavori dovrebbero consentire entro il 2023 un raddoppio delle navi in transito, portandole a 100.

Allo stato attuale è difficile prevedere l’entità del danno economico provocato dall’incidente. Se il traffico tornerà fluido e regolare nelle prossime ore è possibile che l’impatto sui prezzi e sulle tariffe sia contenuto, ma più tardi si tornerà alla normalità maggiori (ed esponenziali) saranno gli effetti. Ad essere certi sono i ritardi e disservizi innescati dall’effetto domino del blocco sui porti europei con colli di bottiglia che ritarderanno non solo le consegne ma anche il ritorno dei contenitori in Cina, dove da mesi se ne registra la penuria. Le catene di approvvigionamento infatti non si sono ancora del tutto rimesse in sesto dopo il blocco dei traffici di un anno fa causato dal Covid: con la ripresa delle attività economiche spesso i contenitori si sono trovati sulla sponda opposta rispetto a dove servivano e quindi molte volte costretti a tornare, vuoti, in direzione Oriente. Lo stavolgimento dei traffici ha innescato un caro noli che si protrae da settimane e che gran parte degli operatori della logistica da tempo denuncia come crescente fonte di preoccupazione, soprattutto perché può ripercuotersi sull’andamento dei prezzi dei beni di consumo.

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L’effetto immediato dell’ingorgo, anche se scontato vista la volatilità del bene, si è visto sul petrolio. Nel pomeriggio il prezzo del greggio americano (Wti) con consegna a maggio è salito del 5,18% a 60,7 dollari a barile, mentre il Brent è cresciuto del 5,2% a 64 dollari.

Come detto all’inizio, se il più grande incaglio nella storia del canale di Suez ha un merito è quello di aver mostrato quali rischi si celano dietro il gigantismo navale, troppo spesso sottovalutati. “L’incidente mostra la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali, e le mega-navi hanno aumentato questa vulnerabilità”, dice ancora Merk. “Gli assicuratori hanno da tempo messo in guardia sulle difficoltà – forse impossibilità – del recupero delle mega-navi in caso di incidenti. Questo rischio è uno degli effetti esterni delle mega-navi che non vengono presi in considerazione quando le navi vengono ordinate. Abbiamo messo in guardia sui rischi delle mega-navi nel 2015 e forse questo incidente porterà a una riflessione molto necessaria”, continua lo studioso Ocse.

Secondo l’International Transport Forum, infatti, nel lungo periodo i benefici derivanti da navi sempre più grandi rischiano di essere addirittura inferiori ai rischi, per una serie di ragioni spiegate in un dettagliato studio condotto qualche anno fa dall’ITF. In primis, infatti, i risparmi stanno diminuendo nel tempo: se il raddoppio delle dimensioni massime delle navi portacontainer negli ultimi 15 anni ha prodotto un risparmio di circa un terzo per contenitore trasportato, con le Ulca la convenienza si riduce da quattra a sei volte. Circa il 60% dei risparmi sui costi delle nuove imbarcazioni arriva dall’efficienza dei motori di nuova generazione, non tanto dalle economie di scala. Anche perché con l’aumento costante di offerta di nuove Ulca i risparmi attesi rischiano di erodersi prima ancora di arrivare a essere consistenti. Non solo: le mega-navi giocoforza “producono una concentrazione di beni e servizi nelle mani di pochi operatori, una scelta ridotta per i clienti e una minore resilienza delle catene di approvvigionamento” a shock esterni.

Le Termopili di

D’altronde, e non da oggi, i principali operatori mondiali già fanno tra loro cartello grazie alle tre “alleanze” fra armatori (2M, Ocean e The Alliance), che oggi rappresentano circa l′80% del traffico container mondiale. Secondo i dati della società di consulenza Mds Transmodal, quasi il 90% della capacità mondiale di navi portacontainer è in mano alle prime dieci compagnie al mondo. Una concentrazione economica notevole che sta avendo conseguenze su tutta la filiera, con l’ingresso dei grandi operatori anche nel mercato della logistica inland che rischia di spazzare via i piccoli e medi attori del mercato.

Oltre che sui prezzi dei beni, la corsa al gigantismo ha anche un altro impatto sulle tasche dei contribuenti che si traduce nelle spese – spesso finanziate dalle casse pubbliche –  necessarie all’adeguamento delle infrastrutture. Se “i potenziali risparmi per i vettori paiono essere piuttosto marginali”, scrive sempre l’ITF, “i costi per l’adeguamento delle infrastrutture potrebbe essere molto più rilevanti”. Un esempio di questo trend l’Italia ce l’ha in casa: in queste settimane a Genova si discute del progetto di una nuova Diga Foranea, in sostituzione di quella attuale, davanti al bacino di Sampierdarena, da costruire appositamente per accogliere le grandi portacontainer da 24mila Teu. Lo spostamento della diga è necessario per garantire alle grandi imbarcazioni dirette in due terminal a levante un diametro di evoluzionedi 800 metri, 250 in più rispetto a ora. Il costo è il più alto mai registrato per opere di questo tipo in Italia: più di un miliardo di euro, metà dei quali arriveranno dal Recovery Fund. 

L’HUFFPOST

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