I Bertoffesi
di Massimo Gramellini
Non chiedete a Guido Bertolaso se a fine marzo partirà davvero la vaccinazione delle persone fragili in Lombardia, altrimenti si innervosirà moltissimo. Dirà che criticare Bertolaso è uno sport nazionale, citandosi in terza persona come un tempo usava fare soltanto Muhammad Ali, e interromperà l’intervista televisiva congedandosi dalla giornalista che ha osato fargli addirittura una domanda (nella fattispecie Tonia Cartolano di Sky) con uno stizzito «Arrivederci e buon lavoro», che nella neolingua dei potenti significa «Tu proprio non hai capito con chi stai parlando».
Il problema non è Bertolaso in sé, ma Bertolaso fuori di sé, una condizione ormai comune alla maggioranza dei personaggi pubblici. Abituatisi sui social a monologare con lo specchio, appena una domanda proveniente dall’esterno sfonda la cappa protettiva del loro ego reagiscono con stizza e quasi con stupore. Nella considerazione di chi molto si considera, il contraddittorio è scaduto da nobile arte filosofica a trappola meschina. Tutti si offendono per tutto e pensano che offendersi sia il modo migliore per dimostrare di avere ragione. Non si accettano domande che non siano innocui palleggi da fondo campo e ogni tentativo di intensificare lo scambio viene vissuto come un sabotaggio. Allora si preferisce buttare la racchetta e andare via, nel paradiso degli autoapplausi dove ci si complimenta e ci si compatisce da soli.
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