Se i Paesi vanno in ordine sparso

Marcello Sorgi

Parlare di fallimento del vertice europeo dedicato ai vaccini, forse, è esagerato. Ma certo – nonostante l’impegno del presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha giocato un ruolo da protagonista, cercando fino all’ultimo di evitare una rottura – in confronto alle aspettative, il bilancio della giornata è modesto. Né valgono a cambiarlo i primi passi fatti in quella sede per il passaporto vaccinale, il documento che dovrebbe consentire presto una riapertura delle frontiere e un ritorno alla vita normale (o quasi).

Anche perché, se la campagna di vaccinazione procede a rilento in quasi tutti i Paesi membri, anche la concessione dei passaporti dovrebbe subire lo stesso ritmo.

Ci sono almeno due ragioni per cui l’Europa ancora una volta vacilla in uno dei momenti in cui dovrebbe mostrarsi più unita. La prima sono le evidenti divisioni: il cancelliere austriaco Kurz, insieme ai leader di Lettonia, Bulgaria, Slovenia, Repubblica Ceca e Croazia ha scritto alla presidenza della Commissione contestando il piano di ripartizione dei dieci milioni di vaccini Pfizer disponibili, una manciata di dosi rispetto agli oltre trecento milioni promessi per aprile. Kurz non è nuovo a gesti clamorosi e a rotture del confronto interno all’Unione. Di recente era andato a trattare con Israele per verificare la possibilità di acquistare separatamente un lotto di vaccini da distribuire in Austria. È evidente che ogni governo in questo momento affronta le stesse difficoltà su questa materia delicata (s’è vista la Merkel alle prese con il blocco di AstraZeneca). Sotto le pressioni di opinioni pubbliche nazionali sopraffatte dalla stanchezza, per oltre un anno di lockdown completo o progressivo, i leader cercano scorciatoie, oppure scaricano sull’Unione errori che sono anche dei singoli. Ieri non a caso il presidente dell’Europarlamento Sassoli ha ammonito che questi atteggiamenti non risolvono nulla. Eppure non è chiaro come queste divergenze possano essere superate, se manca la materia prima, cioè le dosi, e l’idea di spostare o aumentare la produzione in Europa richiede almeno un anno per approntare le strutture.

Nell’immediato c’è un problema AstraZeneca. L’azienda anglosvedese continua a dimostrarsi inadempiente e a non mantenere gli impegni contrattuali assunti prima dell’inizio delle campagne vaccinali. Nello stesso tempo, com’è accaduto sabato ad Anagni, vicino a Roma, si scoprono milioni di dosi nascoste, e destinate a territori diversi da quello europeo. La tentazione, in mancanza di atteggiamenti più seri, sarebbe ovviamente di procedere a nuovi sequestri, come quello che Draghi aveva imposto proprio ad AstraZeneca al primo segno di un mercato parallelo. Mandare un battaglione dell’esercito guidato dal generale Figliuolo e bloccare i caveau dei vaccini. Detta così, purtroppo, non si può fare: si rischierebbe un arrembaggio e una frattura, stavolta sì, definitiva, tra i partner dell’Unione. Ma il rischio che ogni Paese si muova da solo, da ieri, è diventato concreto. E gli sforzi per evitarlo di Draghi – che ha chiesto alla presidente della Commissione Von der Leyen di intervenire in modo energico con AstraZeneca – insieme a Macron e Merkel, non è detto vadano a buon fine.

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