“Ce lo dice Dante, ci riabbracceremo”. Il canto della speranza nella lettura di Benigni
Michela Tamburrino
Il silenzio del Salone dei Corazzieri in Quirinale, anomalia per un luogo uso ad accogliere ospiti. Il volto gigantesco di Dante Alighieri a tappezzare il vuoto ci ricorda che qui si celebra il Dantedì, nel giorno presunto nel quale iniziò il suo viaggio ultraterreno. Un evento trasmesso in diretta su Rai1 con Roberto Benigni invitato a leggere il canto XXV del Paradiso.
A settecento anni di distanza dalla morte di Dante si sente il peso dell’oggi, persino nelle mascherine dei pochissimi presenti. Entra il Presidente Sergio Mattarella, che di Dante è un appassionato lettore fin dai tempi dell’adolescenza, con lui il ministro della Cultura Dario Franceschini. «Eviterei analogie tra l’Italia di Dante e l’Italia di oggi», aveva ammonito il Presidente in un’intevista sul Corriere della Sera, «sono figure che vanno esaminate sotto la luce dell’universalità più che dell’attualità, per la capacità di Dante di trascendere il suo tempo. Il lascito del Poeta sta nella particolare attitudine di penetrare nel profondo dell’animo umano». Ma è difficile non accostare il canto delle tre virtù teologali, tra le quali spicca la speranza, ai giorni d’oggi così tribolati.
Ci pensa l’ospite d’onore, il Premio Oscar Roberto Benigni, a riportarci quella speranza che per Dante è una certezza di beatitudine mai toccata dal dubbio. E la riporta al presente avvertendo: «Dante ci dice, ci riabbracceremo». Benigni è stato preceduto dalla formazione di musica antica Al Qantara, introdotto dalla giornalista Serena Bortone e da uno speciale nel quale parlano il Presidente Mattarella, il ministro Franceschini, che pone l’accento sulla via comune indicataci dal Poeta, gli esperti come lo studioso Andrea Riccardi che riporta il pensiero di Papa Francesco sul valore universale del messaggio dantesco.
Benigni finalmente arriva ed è festa. Ed è anche show con il Presidente che lo segue divertito. Dice il Premio Oscar: «L’abbraccerei per quanto l’ammiro. Mi tenga presente sempre, se ha bisogno di qualsiasi cosa, Presidente, io arrivo. Se un corazziere si ammala lo sostituisco, se ha bisogno del barbiere, mi vesto da corazziere e le faccio la barba. La vedo e dentro di me tutto danza». E ancora: «Apro le celebrazioni al Quirinale e ne sono onorato. Luogo politico adatto a Dante, che oltre a essere il Sommo Poeta era pure un politico di peso e di influenza e aveva partecipato ricoprendo ruoli importanti. Fino all’esilio, al cambio di bandiera, a dire basta con la politica. Fino a fondare un suo partito personale, il Pd, partito senza pace. E non ha mai vinto, in settecento anni, mai una volta». Il Partito dantesco come il nostro Pd.
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