“Ce lo dice Dante, ci riabbracceremo”. Il canto della speranza nella lettura di Benigni

E così, tra sorrisi celati dalla mascherina, inizia il viaggio di Benigni appresso a Dante nei tre regni dell’aldila, «un viaggio miracoloso, perché Dante ci dice di aver scritto il XXV canto del Paradiso, che a breve leggerò, per condurre gli uomini in uno stato di felicità. Per Dante il fine è il Paradiso, il compimento di quel desiderio d’immedesimazione con il mistero divino. Eppure Dante non è il poeta della festa, ma dell’esilio e dei destini ultimi. Qui inizia con una nota di dolore, tra le più grandi per intensità poetica. È il canto della speranza, una virtù che ora ci conforta perché ne abbiamo assoluto bisogno». E l’attore ci conduce all’interno di questo Paradiso dove troviamo Dante che non ha perso la sua speranza, «è un attendere certo mai toccato dal dubbio. L’aspettazione sicura della beatitudine, la gloria futura, quando la speranza è sostanza. Dante cita le Sacre scritture, un giorno risorgeremo e ci riabbracceremo. Un canto che porta anche la letizia e la luce abbagliante, scritto in italiano: e così ha dato un’identità a un Paese che non l’aveva».

È il momento di passare dal grande racconto alla grande poesia. Benigni legge seguito con grande attenzione dagli ospiti in sala. Recita a memoria senza mai avvicinarsi al leggio. E quando conclude, il Presidente Mattarella è il primo ad applaudire e a congratularsi con l’artista visibilmente emozionato. Un’emozione che ha preso tutti e che idealmente ha collegato quell’uditorio presente dal vivo a quello infinitamente più numeroso colegato da casa. Il XXV canto del Paradiso si svolge nel cielo delle stelle fisse, dove risiedono gli spiriti trionfanti. Certamente un buon auspicio per il presente. —

LA STAMPA

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