Il premier forte coi piedi d’argilla

E, quindi, al cospetto della partita storica in corso di svolgimento, è come se Draghi, che possiede personalmente tutte le carte giuste per imporsi, si girasse senza trovare granché dietro di lui (e si sa quanto la mobilitazione e l’immagine del Paese rappresentato abbiano un ruolo fondamentale sotto il profilo negoziale). Servirebbe, perciò, che la solidarietà nazionale dei partiti si tramutasse, per quanto complesso, nella visione di un progetto comune, e che gli indispensabili corpi intermedi non si fossilizzassero su interessi eccessivamente particolaristici, ma dessero segni di attivismo autentico. E occorrerebbe una società civile in grado di supportare visibilmente l’agenda di pragmatismo, modernizzazione e riposizionamento internazionale dell’Italia che si configura con il «momentum Draghi», facendosi anche promotrice di una narrazione non più declinista, “penitenziale” o remissiva, ma capace di ridare fiducia alla Nazione nella sua interezza. Perché il Paese che non è mai riuscito a essere integralmente «normale», secondo i canoni delle democrazie liberali, ha di fronte a sé la possibilità di diventare un attore di rilievo della stagione della «nuova normalità» postpandemica. Ma, proprio per questo, il premier non può essere lasciato da solo, con l’incubo di risvegliarci in un giorno della marmotta che ripropone gli eterni vizi italiani, e nel quale si scopre che Draghi rischia di essere un leader paradossalmente unfit – per troppa autorevolezza – di un «Paese senza» (più la voglia, la capacità e la forza di seguirlo). Sapendo che questa è davvero l’ultima chiamata, e i riformisti non possono mancarla.

LA STAMPA

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