Vacanze di Pasqua, perché all’estero sì e in Italia no
Chi vive a Frosinone, nel Lazio, se vuole può mettere in conto una vacanza a Barcellona per il week end di Pasqua in arrivo. Potrà prendere la macchina, uscire fuori dal Comune, parcheggiare all’aeroporto di Fiumicino e imbarcarsi su un aereo. E ritrovarsi qualche ora dopo a passeggiare sulla popolarissima spiaggia di Barceloneta. Quella che non può organizzare, invece, è una passeggiata sul lungomare di Napoli. È la Pasqua italiana in zona rossa, quella dei viaggi all’estero sì (quasi dappertutto) e però anche quella del divieto di uscire di casa se non per motivi d’urgenza, tra i quali non rientra ovviamente la scampagnata fuori porta (uniche eccezioni le seconde case e le visite contingentate in casa di amici e parenti). Il Governo si divide tra aperturisti – leggere la Lega di Matteo Salvini, ma anche Fratelli d’Italia – e rigoristi. Gli albergatori e gli altri operatori del turismo protestano. Giusto? Sbagliato? Prima ancora viene il perché.
La bolla nazionale e i viaggi all’estero free. Perché il Governo ha scelto il doppio binario
Fonti dell’esecutivo di primo livello spiegano a Huffpost che “l’obiettivo inderogabile è quello di tutelare la salute pubblica nazionale”. Il numero dei contagi inizia a calare, ma in modo molto lieve. Preoccupa la pressione, ancora alta, sugli ospedali e in particolare sulle terapie intensive. Lo stop agli spostamenti tra le Regioni e la stretta ancora più rigorosa della zona rossa nazionale (da sabato 3 aprile a lunedì 5 aprile) sono ritenute misure necessarie per “limitare gli spostamenti che possono creare assembramenti”. L’assetto è quello della bolla nazionale.
Ma allora perché durante la Pasqua rossa si può andare a Barcellona piuttosto che a Parigi e invece non si può fare una gita nel proprio Comune e tantomeno in una località vicina o fuori Regione? Chi torna da un viaggio all’estero non rischia di portare il virus in Italia e vanificare o quantomeno intaccare la bolla nazionale? A queste ultime domande rispondono sempre le fonti di Governo. Con due spiegazioni. La prima è legata ai numeri di chi si sposta solitamente per le vacanze di Pasqua: chi va all’estero rappresenta una piccola quota rispetto alla stragrande maggioranza degli italiani che preferisce invece mete dentro i confini nazionali. La seconda, connessa alla prima, è che non solo i viaggi all’estero non creano situazioni di assembramento, ma prevedono una base minima di sicurezza e cioè un tampone obbligatorio entro 48 ore dal rientro in Italia (i viaggi in altri Paesi richiedono misure più stringenti come la quarantena o l’isolamento fiduciario). Se non si può arrivare al rischio zero sul fronte dei contagi per chi rientra da un viaggio, è altrettanto vero che il tracciamento è più facile per chi arriva in aeroporto rispetto a un flusso di milioni tra macchine, bus e treni.
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