Il populismo tenta di uscire dal limbo europeo
L’attivismo europeo di Matteo Salvini è vistoso. Quello del M5S risulta più sottotraccia. Ma le due formazioni politiche che si sono affermate nel segno del populismo alle elezioni del 2018, hanno in comune un’identità internazionale tuttora indefinita, che aspirano a cambiare. E l’appartenenza alla maggioranza guidata da Mario Draghi offre a entrambi l’occasione per uscire dal limbo di questi anni, dal quale non sono ancora usciti. Ma sia il Carroccio, sia i Cinque Stelle stanno seguendo un percorso di legittimazione nel quale non possono prescindere dall’avallo dei propri alleati.
Il leader della Lega si prepara a andare domani a Budapest a incontrare Viktor Orbàn, presidente ungherese espulso di recente dal PPe; e con lui il primo ministro polacco Mateusz Moraviecki, esponenti di una destra che, dall’europeismo, è scivolata verso una critica radicale delle istituzioni di Bruxelles e dei suoi principi: traiettoria comune a molti Paesi dell’Europa centrale, risucchiati in logiche nazionaliste ostili a qualunque politica che ricordi integrazione degli immigrati, globalizzazione, solidarietà. E conta poco che negli ultimi vent’anni ne siano stati beneficiari.
Salvini ieri ha ribadito che un ingresso della Lega nel Ppe «non è all’ordine del giorno». Parole che non significano un no, ma prendono atto di un processo con tempi lunghi, da entrambe le parti; e un prezzo alto da pagare: in particolare sul piano delle alleanze internazionali, a cominciare dai rapporti con la Russia. D’altronde, il fatto che il segretario del Pd Enrico Letta abbia chiesto a Salvini di entrare nel Ppe è apparso poco meno di una provocazione: un modo per sottolinearne la repentina conversione europeista entrando nell’esecutivo Draghi.
Ma il capo leghista ha anche ipotizzato una fusione tra il nuovo gruppo che dovrebbe prendere corpo insieme a ungheresi e polacchi, e i conservatori europei guidati da Giorgia Meloni, numero uno di Fratelli d’Italia: un’alleata del Carroccio e di Silvio Berlusconi, sebbene sia fuori dal governo Draghi. La risposta di Meloni, però, è stata gelida, a conferma di rapporti competitivi; e insieme della consapevolezza che è Salvini ad avere bisogno di una sponda, e non viceversa.
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