Brunetta: “Pronti ad assumere, ma per cinque anni senza semplificazione non c’è progresso”

Scusi, Brunetta, ma lei non è lo stesso ministro che 13 anni fa dichiarava guerra ai cattivi dipendenti pubblici definendoli «fannulloni»?
«Certamente sì. Io non sono cambiato e anzi rivendico tutto quanto feci in quella mia prima stagione, le considero due facce della stessa medaglia. Ai tempi del governo Berlusconi feci una dura battaglia per mettere la PA al servizio dei 60 milioni di italiani e non viceversa, avendo dalla mia parte la stragrande maggioranza dei cittadini e contro un certo numero di benpensanti conservatori tanto a destra quanto a sinistra. Ripeto: rifarei tutto».

Il clamore fu grande, l’esito controverso…
«Lei dimentica un dettaglio: il momento storico. La crisi finanziaria che ci costrinse a bloccare il rinnovo dei contratti. Quella riforma non ebbe il carburante economico. Come avere una bellissima automobile senza poi i soldi per la benzina».

Ecco, a proposito, stavolta le risorse ci sono o no?
«Oggi le abbiamo. E con onestà devo riconoscere che il merito è dei precedenti governi, i quali hanno “appostato” le somme necessarie. La mia prima decisione da ministro è stata di riprendere il negoziato sindacale per il nuovo contratto del pubblico impiego. E subito abbiamo siglato un Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale».

Nel centrodestra, da cui lei proviene, il dialogo sociale non è stato mai una specialità della casa…
«Perché, scusi, c’è qualcuno che oggi desidera lo scontro sociale? Questo passaggio storico a me ricorda un altro patto coi sindacati, che all’epoca del governo Ciampi nel ’93 ci consentì di restare in Europa e di entrare nella moneta unica. Da giovane economista lavorai per raggiungere quel traguardo; 28 anni dopo, da ministro, faccio mio l’appello del presidente Mattarella alla condivisione e alla coesione. Il Patto del 10 marzo scorso vuole metterci nella condizione di incassare e poi di spendere i quasi 200 miliardi del Recovery Fund. Occorre un grande processo di semplificazione delle norme burocratiche e di reclutamento del capitale umano necessario per rinnovare le competenze di una PA che, nell’ultimo decennio, è stata desertificata dal blocco del turnover e dai pensionamenti. Abbiamo bisogno di procedure semplici e di figure professionali adatte: ingegneri, informatici, economisti, manager».

Quanta gente pensate di assumere per dare corso al Recovery? Ha fatto una stima?
«Dare numeri adesso non sarebbe serio. Prenderemo tutti quelli che saranno necessari, né di più né di meno».

Con contratti a termine?
«Sì, ma di cinque anni e finanziati dagli stessi progetti che si andranno a realizzare. Per il reclutamento sto allestendo un portale fortemente innovativo, procederemo con grande velocità e trasparenza. È di due giorni fa una piccola ma significativa rivoluzione: nei concorsi pubblici basta carta e penna, saranno digitalizzati dall’inizio alla fine. Parallelamente è in preparazione un decreto di accompagnamento e anticipazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ne stiamo ragionando col presidente Draghi».

Di che si tratta, ministro?
«L’idea è di mettere in campo il prima possibile alcune riforme necessarie per accompagnare e implementare i progetti finanziati dall’Europa. Non puoi puntare alla transizione digitale e ambientale se non intervieni prima su semplificazione, reclutamento e governance. È ciò che intendiamo fare a strettissimo giro rilanciando la macchina pubblica».

Riformare lo Stato: lei, Brunetta, parla quasi da socialista.
«Io sono sempre stato socialista. E milito in Forza Italia, partito liberale di massa come voluto da Berlusconi. Credo in un sistema privato efficiente e in uno pubblico altrettanto efficiente, il meglio dei due mondi».

Visto che cita Forza Italia: come si trova lei gomito a gomito con grillini e “comunisti”?
«Sono in un governo di unità nazionale dove non ci sono né centrodestra né centrosinistra. C’è un’unica fondamentale “mission”: salvare e riformare il Paese. Alla sintesi provvede Draghi con un equilibrio da par suo. Vuole la mia previsione?»

Ecco, appunto.
«Questa è un’esperienza destinata, se avrà successo, a rivoluzionare la nostra geografia politica. Nulla sarà più come prima».

Cosa potrà accadere?
«Un grandissimo rimescolamento. Molte cose cambieranno; alcune anzi sono già cambiate se è vero che, sostenendo il governo Draghi, la Lega ha scelto di abbracciare l’atlantismo e l’europeismo. Ma non mi chieda altro. Qualunque sia la futura mappa politica, adesso l’unica cosa importante è far nascere la nuova Italia e sanare la ferita che si è aggravata tra due parti del corpo del Paese: i garantiti e i non garantiti. Un corpo spezzato muore. La mia missione è rilanciare la macchina pubblica per metterla, con dignità e onore, al servizio dei cittadini. E che Dio ce la mandi buona».

LA STAMPA

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