Partiti, la tregua d’aprile

di Paolo Mieli

Non è necessario essere immunologi o virologi per comprendere come l’arco di tempo che andrà dalla Pasqua appena trascorsa al primo maggio sarà il più delicato sul fronte della guerra al Covid. Lo fu l’anno passato. Lo sarà ancor di più adesso, pur se in condizioni diverse da quelle del 2020. Saranno giorni, quelli di aprile, in cui all’orizzonte si riuscirà a intravedere la «liberazione» e però sarà ancora troppo presto perché vengano adottati comportamenti più rilassati.

Perché? In tutta Europa la campagna vaccinale è stata resa assai più complessa dal pasticcio di AstraZeneca: un vaccino che è stato vietato in un primo tempo ai più anziani, successivamente ai più giovani. E che, anche a seguito di questa confusione, qualche Paese — a dispetto dei pur evidenti risultati di AstraZeneca in Gran Bretagna — ha addirittura smesso di somministrare. Come è noto, questo disordine ha prodotto un danno di grandi proporzioni anche per noi che lo abbiamo sospeso soltanto per due o tre giorni. Dal momento che, quando ne fu sconsigliata la somministrazione agli ultrasessantenni, per utilizzare le quantità già arrivate di quel siero immunizzante, fummo costretti a rivedere il piano iniziale, a sottrarre quelle dosi ai più anziani e a destinarle ai più giovani. Di qui — o comunque anche di qui — il caos che ha reso difficile la vaccinazione in massa degli ultraottantenni.

Adesso aprile dovrebbe essere il mese decisivo per rimetterci in carreggiata, per vaccinare ogni giorno le previste quattro o cinquecentomila persone e, di conseguenza, per veder diminuire di giorno in giorno il numero dei ricoverati nei reparti di terapia intensiva nonché quello dei morti. Poi, soltanto dopo, verrà il tempo della ripresa di una vita quasi normale.

Ma qualcosa verrà già riaperto prima del tempo. Il governo ha deciso di rendere immediatamente frequentabili le scuole ai bambini fino a dieci, undici anni. Decisione non facile poiché gran parte dei medici aveva definito prematura una scelta del genere. Il Consiglio dei ministri (e perciò i partiti della maggioranza) ha voluto ugualmente assumersi la responsabilità di una scelta non scontata. Ed è probabile che, se tra quindici giorni, ci saranno risultati sul fronte della lotta al contagio, potranno esser prese, ancor prima della fine di aprile, decisioni altrettanto difficili. Nelle aree geografiche che abbiano registrato tangibili successi nella lotta al virus, potrebbero essere riaperti anche gli istituti scolastici superiori con evidenti vantaggi per gli studenti tutti qualche mese prima della chiusura dell’anno scolastico. Un beneficio che a questo punto è unanimemente considerato prioritario. Anche rispetto alla ripresa dell’intera attività produttiva.

Questa premessa ci induce a rivolgere un appello a tutti i partiti — in particolare alla Lega di Matteo Salvini — perché sospendano per i prossimi venti, massimo trenta giorni, ogni disputa riferita direttamente o indirettamente al coronavirus. La menzione specifica di Salvini si deve al fatto che negli ultimi tempi il capo della Lega è parso credere che ci sia tra i suoi avversari qualcuno disposto, per ragioni ideologiche, a tenere l’Italia chiusa ad ogni costo. È probabile che, come il leader della Lega ha dichiarato su queste pagine a Marco Cremonesi, ci siano suoi nemici politici ammalati di «salvinite», cioè antagonisti che cercano una propria identità distinguendosi sempre e comunque da lui. Ma non ci sembra che questo riguardi la lotta al virus. Non è plausibile che qualcuno voglia tener serrata l’Italia intera per fargli dispetto.

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