Partiti, la tregua d’aprile
Si potrebbe, a questo punto, obiettare che qualcosa di simile accade anche fuori dai confini italiani. In una Francia costretta assai più di noi a chiudere tutto, Marine Le Pen in questi giorni sta denunciando la «Waterloo di Macron». All’improvviso la leader del Rassemblement National ha scoperto che «privare i francesi della cultura ha avuto un impatto enorme»; ragion per cui — sostiene — sarebbero da riaprire cinema e musei. Proposte fuori dalla realtà, avanzate per guadagnare qualche improbabile simpatia tra gli intellettuali. Marine Le Pen, però, è all’opposizione: fa un errore di calcolo, crediamo, quando propone l’improponibile; ma il suo partito, in quanto fuori dal governo, non è tenuto a dar prova di senso di responsabilità.
Non è necessario essere immunologi o virologi per comprendere come l’arco di tempo che andrà dalla Pasqua appena trascorsa al primo maggio sarà il più delicato sul fronte della guerra al Covid. Lo fu l’anno passato. Lo sarà ancor di più adesso, pur se in condizioni diverse da quelle del 2020. Saranno giorni, quelli di aprile, in cui all’orizzonte si riuscirà a intravedere la «liberazione» e però sarà ancora troppo presto perché vengano adottati comportamenti più rilassati.
Perché? In tutta Europa la campagna vaccinale è stata resa assai più complessa dal pasticcio di AstraZeneca: un vaccino che è stato vietato in un primo tempo ai più anziani, successivamente ai più giovani. E che, anche a seguito di questa confusione, qualche Paese — a dispetto dei pur evidenti risultati di AstraZeneca in Gran Bretagna — ha addirittura smesso di somministrare. Come è noto, questo disordine ha prodotto un danno di grandi proporzioni anche per noi che lo abbiamo sospeso soltanto per due o tre giorni. Dal momento che, quando ne fu sconsigliata la somministrazione agli ultrasessantenni, per utilizzare le quantità già arrivate di quel siero immunizzante, fummo costretti a rivedere il piano iniziale, a sottrarre quelle dosi ai più anziani e a destinarle ai più giovani. Di qui — o comunque anche di qui — il caos che ha reso difficile la vaccinazione in massa degli ultraottantenni.
Ragion per cui, dovesse esserci una «Waterloo» di Mario Draghi, la responsabilità sarebbe riconducibile anche a lui. È anche per questo che, pur non essendo Salvini il primo nella storia a guidare un partito che vorrebbe essere «di lotta e di governo», dovrebbe — a nostro avviso — accantonare, limitatamente alle questioni sanitarie e per un periodo limitato, ogni vocazione polemica. Discorso identico, lo ripetiamo, dovrebbe valere per i suoi avversari. Trascorso questo delicatissimo mese, ci sarà tutto il tempo per riprendere una vivace competizione tra destra e sinistra. Senza limitazioni di campo (a virus debellato).
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