Addio censura, un lungo esame privo di senso

Alberto Barbera

Se c’è qualcosa che la censura non ha mai potuto sopprimere è il sorriso. Ed è stato proprio un sorriso la prima reazione che mi ha colto ieri mattina quando ho letto dell’abolizione della censura cinematografica nel nostro Paese. Mi sono subito ricordato di un giorno di quarant’anni fa. Lavoravo alla Gazzetta del Popolo e scrissi un commento sul neo insediato ministro della Cultura che proponeva il primo e fondamentale punto del suo programma di governo: l’abolizione della censura.

Quelle di quel ministro rimasero parole, di anni ne sono passati quaranta prima che la politica, finalmente, arrivasse dove la coscienza sociale e la cultura erano già arrivati da tempo: la censura non ha più nessun senso, se mai ne ha avuto uno. Eppure la storia del nostro cinema è attraversata da episodi più o meno gravi e celebri: senza arrivare ai processi e alle censure integrali con minaccia di rogo delle copie dei film di Pasolini o Bertolucci, non c’è stato film italiano che non sia passato attraverso gli occhi minacciosi di censori. Scrivendo la prefazione di un libro su Leo Catozzo, il leggendario montatore dei film di Fellini, ho scoperto la storia dei dieci minuti di Le notti di Cabiria censurati, perché un personaggio si rendeva protagonista di un atto di solidarietà: ma era un laico e per i censori la solidarietà era dote riservata ai religiosi. Questa decisione di voler sottrarre alla violenza del potere l’imposizione delle scelte artistiche è storica. Resta da capire come funzionerà la nuova commissione di 49 membri,ognuno per una parte sociale, che dovrà decidere a chi un film è destinato e chi ne deve essere escluso dalla visione: quel che è certo è che fa già sorridere così.

LA STAMPA

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