Caro Conte, tra Russia, Haftar e gilet gialli ecco dove avete sbagliato in politica estera
Diciamo che non solo la tela delle relazioni transatlantiche, ma più in generale tutta la politica estera (in particolare con il Suo primo governo gialloverde) ha subito strappi di ogni tipo.
Come dimenticare la missione del ministro degli Interni e vicepremier Salvini al Cremlino, quando il Capitano attaccò ferocemente Francia e Germania e concluse dicendo «qui a Mosca mi sento a casa mia, mentre in alcuni Paesi europei no» ? Era il 16 ottobre 2018, e dopo il varo delle sanzioni contro Putin per l’annessione della Crimea e l’aggressione dell’Ucraina noi scaricavamo così Parigi e Berlino, per schierarci al fianco del nuovo Zar di tutte le Russie. E come dimenticare la missione del vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico Di Maio proprio a Parigi, quando insieme all’allora suo scudiero Di Battista incontrò il leader dei gilet gialli Christophe Calencon e ne sostenne pubblicamente la battaglia, in nome «delle posizioni e dei molti valori comuni che mettono al centro delle nostre battaglie i cittadini»? Era il 5 febbraio 2019, e nel pieno di una protesta violenta che ogni weekend metteva a ferro e fuoco la capitale francese, noi prendevamo a schiaffi così l’alleato Macron.
In tanta confusione identitaria, se me lo consente, Lei talvolta ci ha messo del Suo. Un esempio su tutti: l’atteggiamento un po’ troppo appiattito su Trump, che del resto le valse un endorsement fondamentale per il Suo secondo governo. Era il 27 agosto 2019 e, subito dopo la pazza crisi del Papeete, The Donald cinguettò il famoso «spero che Giuseppi resti primo ministro!». Un “abbraccio” non mortale ma certo soffocante, che forse spiega il ritardo col quale il 17 gennaio scorso sono infine arrivate le congratulazioni telefoniche con il neo-eletto presidente Joe Biden. Ma a parte questo, Lei ha fatto quel che ha potuto. E di una cosa, decisiva per noi e per l’intero Occidente, Le do atto volentieri: ha tenuto la barra dritta sull’elezione di Ursula Von Der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. Una mossa non scontata, persino miracolosa, nelle assurde condizioni politiche di allora, che ha messo all’angolo le destre populiste e sovraniste e ha cambiato il corso degli eventi in Europa. Era il 16 luglio dello stesso 2019, e forse proprio quella svolta (che a Strasburgo i Cinque Stelle condivisero con i popolari e i socialisti europei) convinse definitivamente Salvini a rompere un mese dopo il patto di governo. Dunque, come vede, da parte mia nessuna denigrazione preconcetta e nessuna critica «a prescindere».
Infine, nella Sua lettera Lei parla di una «causa abbracciata» da me e «dall’intero gruppo editoriale». La citazione di Talleyrand sull’eccesso di zelo è bella, ma fa torto alla Sua intelligenza e alla Sua cultura. Per quel poco o tanto che ci conosciamo, dovrebbe aver capito che delle scelte fatte e della “linea” del mio giornale (sulle quali il mio gruppo editoriale non mi chiede e non mi ha mai chiesto conto) rispondo solo a me stesso e ai miei lettori. E dovrebbe anche aver capito che in politica ho le mie idee, ma non abbraccio «cause» a priori, dove per cause si intendono capi di governo o leader di partito. Dunque, se oggi Lei per «causa» intende Mario Draghi, certo, Le confermo che apprezzo e stimo l’attuale premier. Ma l’apprezzamento e la stima (come del resto capitava anche per Lei) non mi fanno velo quando ne giudico gli atti di governo. Per averne prova, vada a leggere gli ultimi editoriali che ho scritto, sui troppi silenzi di Palazzo Chigi, sui troppi ritardi nei vaccini, sui troppi errori nei viaggi consentiti all’estero, sulle troppe promesse mancate per la scuola.
Concludendo, possiamo forse venirci incontro. Io prometto che non cadrò nella trappola dello zelo di cui scriveva Talleyrand, Lei prometta di non cadere nella Schadenfreude di cui parlava Schopenhauer. Non renderebbe un buon servizio al Paese. E soprattutto non La aiuterebbe nel compito impegnativo di cui si è fatto responsabilmente carico: e cioè (come Lei stesso mi scrive) «rifondare il Movimento 5 Stelle» e «renderlo pienamente idoneo a interpretare una nuova stagione politica». Segno evidente che finora non lo è stato.
LA STAMPA
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