Erdogan e il sofa-gate: diplomazia al lavoro con la Turchia. Ma la linea di Draghi non cambia


È cronaca che Draghi abbia di recente visitato la Libia, nel corso del suo primo viaggio internazionale. In quello scacchiere Ankara gioca da oltre un anno una partita assai aggressiva, proprio in un teatro tradizionalmente caro a Roma. Gli interessi, è evidente, non collimano, anche se questa “concorrenza” non basta da sola a spiegare l’affondo verbale del premier italiano. E infatti c’è di più. L’attivismo di Draghi va letto alla luce della nuova fase che potrebbe presto aprirsi in Europa e che, di certo, si è già aperta negli Stati Uniti. 

L’imbarazzo con cui Bruxelles ha reagito al caso della “sedia” è emblematica, e sotto gli occhi di tutti. In questo senso, il premier ha scelto scientificamente di intestarsi la reazione più dura contro Erdogan. L’ambizione pare quella di conquistare un ruolo centrale nel Continente. In questo, interpretando anche alcuni indizi che arrivano dagli Stati Uniti. 


Non sono solo le mosse di Joe Biden rispetto alla Russia, o quell’esplosivo “killer” scelto per definire Putin. Nel corso dell’ultimo Consiglio europeo, il presidente degli Stati Uniti ha selezionato concetti durissimi verso le autocrazie e indicato la rotta ai partner Ue: “Stando insieme, fianco a fianco, Usa e Unione europea possono dimostrare che le democrazie sono più adatte a proteggere i cittadini”. Chi conosce la filosofia di Draghi non nasconde la sintonia con questo approccio. E d’altra parte, anche il linguaggio sembra adattarsi alla nuova era, con quali conseguenze “sul campo” si vedrà. 

Nel frattempo, vanno registrate alcune reazioni gelide con cui a Bruxelles è stata accolta la sortita del premier italiano. “La Turchia è un Paese che ha un Parlamento eletto e un presidente eletto – ha detto oggi un portavoce della Commissione, interpellato sulle parole di Draghi – verso il quale nutriamo una serie di preoccupazioni e con il quale cooperiamo in molti settori. Si tratta di un quadro complesso, ma non spetta all’Ue qualificare un sistema o una persona”. Una freddezza che non sembra però scalfire le convinzioni dell’ex banchiere. Che, spiegano da più fronti, ha sempre usato e continuerà a usare un linguaggio diretto, in un certo senso non mediato e quindi anche a suo modo rischioso, soprattutto rispetto alle potenze esterne all’alleanza democratica occidentale. Ma che nello stesso tempo promette comunque, in nome della real politik, di continuare a promuovere il dialogo con questi leader, in nome di un pragmatismo necessario.

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