Aspettando Nicola

Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, appena arrivato al Nazareno, l’unico nome in grado di vincere su Roma per il Pd è quello di Nicola Zingaretti. Perché ha la certezza di andare al ballottaggio, e perché poi al ballottaggio non registrerebbe l’ostilità degli elettori che al primo turno votano la Raggi. E perché, sarebbe in grado anche di riaprire la discussione con Calenda, anche se il leader di Azione ha detto che andrà avanti. Prima ancora degli orientamenti, proprio l’averlo sondato rivela un’intenzione.

Insomma, Enrico Letta considera che ci sono ancora margini per convincere l’ex segretario del Pd. Zingaretti che finora ha più volte detto di no, con diverse motivazioni e, in verità, diversi gradi di perentorietà, alcuni assai sfumati: una campagna vaccinale in corso che suggerisce di non lasciare la tolda di comando della Regione, considerati anche gli eccellenti risultati rispetto alle altre Regioni italiane, ma anche una certa delusione personale verso il suo partito, dopo le sue dimissioni, che lo rendono poco predisposto al sacrificio per salvare la patria. Raccontano che, negli sfoghi più amari, ha manifestato il desiderio di candidarsi al Parlamento, quando sarà, per continuare a fare politica da “deputato semplice”.

Per le amministrative, presumibilmente le prime dopo pandemia che, proprio per questo, valgono quanto un’elezione politica come metro del sollievo o della disperazione del paese e quindi come giudizio verso le forze politiche, si voterà dopo l’estate dunque c’è ancora tempo e in parecchi, a partire dai suoi favorevoli all’ipotesi considerano che, se la campagna di vaccinazione proseguirà con successo, tra un paio di mesi sarà più semplice decidere. Sia come sia, la vicenda racconta un paradosso e fotografa una serie di contraddizioni. Il paradosso è che l’unica soluzione, per il Pd, è proprio l’ex segretario che poco più di un mese fa se ne andato provando “vergogna” verso il suo partito. Ed è lo stesso ex segretario romano, che da queste parti ha sempre vinto sin dalla sua prima elezione alla Provincia, nel giorno della disfatta di Rutelli contro Alemanno (i giornali titolarono Zingaretti batte Rutelli di quattro punti), ma che evidentemente non è riuscito a lasciare proprio a Roma un centrosinistra competitivo e con una classe dirigente forte e rinnovata.  

In questa storia delle amministrative, e qui siamo alle contraddizioni, in controluce si rivedono tutti i nodi che hanno portato alle dimissioni di Zingaretti, forse troppo frettolosamente archiviate con la teoria del “crollo psicologico” e momentaneamente nascoste dal restyling sui capigruppo: le difficoltà a costruire una coalizione allargata, le tensioni nel centrosinistra, quelle dentro il Pd. Enrico Letta confida, comprensibilmente, di arrivare a un accordo nazionale con i Cinque Stelle di Conte, nell’ambito del quale l’auspicio è quello di ottenere un passo indietro della Raggi. Complicato, basta dare uno sguardo ai profili social della sindaca per constatare come sia già in campagna elettorale. E l’umore nelle periferie suggerisce peraltro di considerarla tutt’altro una candidata debole. Vale su Roma, vale su Torino e Napoli, nelle città dove cioè è difficile cauterizzare le ferite di questi anni. Senza un accordo su Roma è pressoché impossibile arrivare alla candidatura di Fico a Napoli, che registra l’aperta ostilità di Vincenzo De Luca (l’alternativa è Gaetano Manfredi, che nel Conte 2 è stato ministro in quota Pd) e anche a Torino, dove lo schema ipotizzato prevede un civico comune, non è semplice arrivare a una sintesi dopo anni in cui l’opposizione del Pd è arrivata fino alle denunce penali verso la Appendino.

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