Un mondo più difficile per l’Italia

di Angelo Panebianco

Il mondo sta diventando un posto molto pericoloso anche per noi italiani. Si pensi a come si è surriscaldato il clima diplomatico. La settimana scorsa abbiamo espulso due diplomatici russi che ottenevano segreti Nato da un nostro ufficiale. La Russia ha minacciato ritorsioni. Ieri l’altro, il nostro Primo ministro ha definito Erdogan un dittatore. Ha poi aggiunto, con realismo, che dobbiamo collaborare anche con i dittatori quando sono in gioco gli interessi vitali del nostro Paese. Erdogan ha risposto con finta indignazione e ha convocato il nostro ambasciatore. Questi due episodi ci ricordano quanto siano ora agitate le acque internazionali.

Consideriamo proprio il caso Erdogan. Le parole di Draghi non esprimevano solo biasimo per il trattamento riservato alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. C’era, implicito, anche un riferimento alla questione libica. In Libia Draghi è stato tre giorni fa. Allo scopo di riannodare i legami (spezzati o, quanto meno, assai logorati) fra l’Italia e un Paese le cui sorti hanno uno stretto legame con il nostro interesse nazionale: si tratti di rifornimenti energetici, della presenza in Libia delle nostre imprese, di flussi migratori, di contrasto al terrorismo o di sicurezza militare. Una Libia che è oggi spartita fra russi e turchi. Gli uni e gli altri ritengono di essersi conquistati sul terreno il diritto di essere lì, avendo partecipato, su fronti opposti, alla guerra fra la Tripolitania e la Cirenaica.

L’Italia è impegnata ad appoggiare gli sforzi dell’attuale governo libico di riconquistare l’unità del Paese. Se coronati da successo danneggerebbero gli interessi sia di Erdogan che di Putin. La Libia non potrà essere davvero riunita se l’esercito turco e i mercenari russi non se ne andranno. Quello italiano è un tentativo necessario ma difficile. Puntiamo sui rapporti economici per ricostituire i nostri legami con la Libia. Ma può la capacità di offrire cooperazione economica sconfiggere le posizioni di forza di coloro (come appunto Erdogan) che hanno soldati e armi sul terreno? I precedenti storici non sono incoraggianti. In ogni caso, il governo Draghi è impegnato, in Libia, in una partita i cui esiti saranno assai importanti per l’Italia. In sintesi: di quanta sicurezza disporremmo (non solo noi, anche il resto dell’Europa), se il Mediterraneo diventasse stabilmente un mare russo/turco?

Alzare il tiro della polemica con Erdogan, serve forse a perseguire diversi obiettivi. È un messaggio implicito alla Nato(di cui la Turchia fa tuttora parte), un messaggio che dice: non possiamo più trattare Erdogan con i guanti, come se la Turchia fosse ancora l’alleato di un tempo. È un richiamo agli Stati Uniti, è la richiesta di un loro rinnovato impegno nel Mediterraneo. Potrebbe essere anche un messaggio alla Germania: lo scambio denaro contro controllo delle frontiere forse dovrebbe essere rinegoziato in modo più favorevole per l’Europa. È infine, certamente, un messaggio indirizzato agli italiani: non possiamo evitare di cooperare col dittatore di turno quando ciò serva a tutelare certi nostri vitali interessi ma dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che ci sono grandi differenze fra noi e il suddetto dittatore, dobbiamo monitorare con attenzione le conseguenze spiacevoli che da queste differenze possono in ogni momento derivare.

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