Regia a Palazzo Chigi e un team di ministri per gestire il Recovery
Alessandro Barbera
ROMA. È deciso: la regia politica del Recovery plan andrà a un comitato di ministri riunito attorno a Mario Draghi. A due settimane dalla scadenza per la presentazione a Bruxelles del piano da duecento miliardi, il premier sta affrontando la complicata strettoia politica che costò il posto a Giuseppe Conte. Se l’allora premier avrebbe voluto accentrare tutto a Palazzo Chigi, Draghi sceglie la via francese, dando pieno mandato per l’attuazione del piano ad una struttura attuativa presso il ministero del Tesoro. Se Conte avrebbe voluto attorno a sé solo due ministri (Gualtieri e l’allora ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli), il comitato dei ministri di Draghi sarà più largo. Dovrebbe essere composto da sei persone, quelle maggiormente coinvolte nelle «missioni» del piano: Daniele Franco (Tesoro), Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Vittorio Colao (Digitalizzazione), Enrico Giovannini (Infrastrutture), Maria Cristina Messa (Ricerca), Roberto Speranza (Sanità). C’è un però, che in queste ore sta creando a Draghi problemi coi partiti: fatta eccezione per Speranza, si tratta solo di ministri tecnici. Non sono ad esempio rappresentati i giovani, il Sud, né le pari opportunità, le cosiddette «direttrici trasversali» del piano. Non ci sono soprattutto i grandi azionisti della maggioranza, ovvero Cinque Stelle, Lega e Pd. Fonti di Palazzo Chigi gettano acqua sul fuoco: «La composizione del comitato sarà variabile, verranno coinvolti di volta in volta i ministri interessati da questo o quell’investimento».
Per Draghi quel che conta è aver affidato al Tesoro il ruolo di interlocutore unico con la Commissione europea e gli uffici che ogni sei mesi chiederanno conto dello stato di avanzamento di questa o quella spesa. Il premier due giorni fa in conferenza stampa ha preso l’impegno a presentare il progetto all’Unione entro il 30 aprile. Non è un termine perentorio, ma prima viene consegnato, più aumentano le probabilità di ottenere entro la fine dell’estate un anticipo delle risorse pari a circa 25 miliardi.
Ebbene, nonostante manchino due settimane, ci sono ancora diverse questioni da mettere a punto. Una è la citata sulla gestione politica e attuativa del piano: su questo Palazzo Chigi sta scrivendo un decreto ad hoc. Un secondo decreto ad hoc servirà a introdurre il cosiddetto «modello Genova», ovvero le deroghe alle norme sugli appalti che permettano di evitare lo stop ai cantieri in nome di questa o quella autorizzazione. Palazzo Chigi punta ad approvare entrambi i decreti entro fine mese, ma non è detto che riesca nell’impresa.
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