Dad e Did, Decreto Ristori e Sostegni, Asl, Ats, Asp e Nuova Imu: qual è la differenza? Cambiare sigle per non cambiare nulla

Ici, Imu, Iuc, CniPa, DigitPa

Con la tassa sugli immobili non è andata meglio. C’era una volta l’Ici, Imposta comunale sugli immobili, introdotta dal governo Amato nel 1992. Il governo Prodi la tolse sulle prime case ai redditi bassi. Berlusconi la cancellò del tutto nel 2008, ma per le seconde case nel 2011 istituì l’Imu (Imposta municipale propria). Nel 2012 il governo Monti la allargò alle prime case. Nel 2013 viene di nuovo tolta da Letta sulla prime case (a eccezione per quelle di lusso), che poi ha istituito la Iuc, formata da Tasi (Tassa sui servizi indivisibili), Tari (Tassa sui rifiuti) e Imu (per la seconda casa). Nel 2019 il governo Conte abolisce la Iuc e nel 2020 è nata la «Nuova Imu» accorpando Tasi e Imu. Per promuovere l’informatizzazione della pubblica amministrazione si è partiti nel 1993 con l’Aipa, Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, che nel 2003 è diventata CniPa (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) e poi nel 2009 DigitPa. Infine nel 2012 Agid (Agenzia per l’Italia digitale). Non si può dire che la digitalizzazione della Pa sia stata tanto rapida quanto i cambi di nome.

La giostra del lavoro

Per fare funzionare i Centri per l’impiego è indispensabile l’incontro tra la domanda e l’offerta. Nel ‘97 viene istituito il Sil, Sistema informativo lavoro. Nel 2003 è stato sostituito dalla Borsa Continua Nazionale del Lavoro. Nel 2010 è stato creato un nuovo portale: Cliclavoro. Cambiato nome tre volte, ma il risultato è rimasto sempre lo stesso: l’incontro domanda-offerta non è mai partito. Sempre in materia di lavoro, nel ’96 è stata fatta una importante riforma (richiesta anche dalla Ue). In pratica è stata data la possibilità ai privati di fare intermediazione di manodopera. Sono nate le cosiddette agenzie del «lavoro in affitto». Poi diventate del «lavoro interinale». Ora siamo passati al «lavoro somministrato». La sostanza però è sempre rimasta la stessa: lavori per conto di un’agenzia per il lavoro che ti assume, a termine o a tempo indeterminato, e poi ti distacca in un’altra azienda per un certo periodo.

Cliclavoro. Cambiato nome tre volte, ma il risultato è rimasto sempre lo stesso: l’incontro domanda-offerta non è mai partito

Sanità e urbanistica: la babele del federalismo

Nel 1993 viene decisa la cosiddetta aziendalizzazione delle Usl che diventano un organo di competenza delle Regioni. Il cambio è radicale e, giustamente, si cambia nome: da Usl si passa ad Asl (Azienda sanitaria locale). Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Piemonte e Puglia confermano l’acronimo di Asl, tutte le altre lo cambiano: in Alto Adige si chiama Asdaa, in Basilicata Asm, in Calabria Asp, Ausl in Emilia Romagna e in Toscana, Asu e As in Friuli Venezia Giulia, Ats in Lombardia e in Sardegna, Asur nelle Marche, ASReM in Molise, Asp in Sicilia, Apss in Trentino, mentre in Umbria sono rimaste Usl. Dov’è il senso di questa babele?

Flourish logo

A Flourish map E il federalismo ha contribuito a dismisura. Prendiamo la pianificazione urbanistica: differente da Regione a Regione, genera non poche difficoltà a cittadini e imprese. Buttato il Prg (Piano regolatore generale), ora abbiamo il Pgt in Lombardia, il Puc in Campania, in Emilia Romagna il Psc fino al 2020, ora si chiama Pug, in Veneto i Pi, Prc, Pat; e ancora i Psc e i Poc in Toscana, i Pot e i Reu in Calabria. Senza dimenticare i Pums (e cioè i piani urbani della mobilità sostenibile), i Pup (vale a dire i piani urbani dei parcheggi), i Pcv (ossia quelli del verde urbano) e i Pdc (quelli del commercio). Infine dal 2001 a oggi siamo passati da due soli titoli edilizi, il «permesso di costruire» e la Dia (Dichiarazione di inizio attività del privato), a una molteplicità di istituti giuridici: Cil (introdotta nel 2010 e eliminata nel 2016), Cila, Scia. Quello che cambia è solo la procedura.

Tirando le somme

È fin troppo scontato dire che nella grande ragnatela della pubblica amministrazione un cambio di nome si giustifica solo con l’introduzione di novità di sostanza, proprio per non disorientare i cittadini. Quel che invece succede nella maggior parte dei casi, soprattutto quando qualcosa non funziona perché gestito male, è che si cambia l’etichetta per dare l’idea di grandi innovazioni, anziché correggere le storture. Che infatti rimangono. E intanto la confusione aumenta, insieme alla spesa generata dalla nascita di un nuovo ente. Sembra quasi una regola: rendere tutto confuso perché se sei chiaro diventa chiara anche l’inefficienza.

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