Noi e il virus, un’uscita faticosa
A tutti viene chiesto un ultimo sforzo. Senza impegno individuale, l’uscita sarà più lunga e complicata. Mario Draghi lo ha ripetuto parlando delle vaccinazioni, che considera — giustamente — fondamentali. Una sua frase — e il tono con cui l’ha pronunciata — ha colpito molti: «Con che coscienza si salta la fila per i vaccini?!».
Il presidente del Consiglio ha ragione: troppi italiani sono diventati «saltafila». Ma si è trattato, quasi sempre, di un salto di gruppo. In regioni diverse, diverse categorie hanno ottenuto la priorità. Molti si sono sentiti giustificati: non hanno chiesto il vaccino in anticipo, lo hanno accettato. L’appartenenza è spesso più forte della coscienza, in Italia.
La determinazione con cui il premier si è appellato alla responsabilità dei singoli, giovedì nel corso della conferenza stampa, è condivisibile. Ma avrebbe potuto ricordare la superficialità (il cinismo?) di molte Regioni, che hanno utilizzato una scappatoia nel decreto — la categoria «altro» — per vaccinare 2 milioni e 300 mila persone che non erano né anziane né fragili, né sanitari né forze dell’ordine. Un quinto del totale. Non si poteva scrivere meglio, quella norma?
Un’espressione tristemente popolare recita: «Tutti colpevoli, nessun colpevole!». Non è questo il caso. Tutti colpevoli, almeno un po’; nessuno interamente innocente. Se ne siamo convinti, da qui si può ripartire. Governo, Regioni e categorie, ormai, dovrebbero avere imparato dai propri errori. Così noi cittadini. Se d’ora in poi ognuna farà la propria parte, e i vaccini arriveranno come promesso, potremo tornare liberi. Finalmente.
La pandemia — quante volte lo abbiamo detto, scritto, letto, ascoltato? — è un evidenziatore: le caratteristiche di un popolo, nel bene e nel male, balzano agli occhi. Negli ultimi quattordici mesi abbiamo visto di tutto, ma c’è una qualità italiana di cui s’è parlato poco: le cose le capiamo al volo. Tempo di usarla, quell’intelligenza. Ci mostrerà l’uscita.
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