La rabbia di Miguel

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di   Massimo Gramellini

L’intervista con cui un torvo Miguel Bosé si è riaffacciato al mondo per contrapporsi al mondo dopo anni di sopportabile assenza ci ha lasciati un po’ tutti senza fiato. Qualcuno dirà: perché dare importanza ai deliri di un cantante di musica leggerissima, e neanche tra i più memorabili? Perché fa parte del carico nostalgico di un paio di generazioni. Perché è stato l’idolo di tanti adolescenti e il genero di tutte le mamme. Ogni cosa in lui sembrava illuminata: il sorriso accattivante, i movimenti da bullo buono. E poi il fascino di quei lombi mitologici, madre diva e padre torero, la versione moderna di Arianna e Teseo. Da quelle premesse di luce si è arrivati a questo signore oscuro, convinto di essere in missione per conto di Io. Un negazionista che non si limita a non indossare la mascherina, ma pretende che non la indossi nemmeno l’intervistatore. Un complottista che appena gli si chiede di argomentare le sue allusioni risponde: «Non mi sento il detentore della verità. È ciò che dico la verità!». Un fanatico che quando lo si invita a portare rispetto per i morti della pandemia, arrovescia gli occhi e urla: «Se una cosa provoca morte, perché dovrei rispettarla di più?».

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