Provenzano: “La nostra strada contro la rabbia”

Le contraddizioni della Lega sono destinate ad acuirsi?

Tutte le misure del Governo sono state fin qui assunte all’unanimità, anche dai leghisti, ma la destra sta portando avanti una campagna di denigrazione ad personam, contro il ministro Speranza, a cui va la nostra solidarietà.

Speranza non si tocca?

No, vogliono farne il capro espiatorio per non aver mantenuto la promessa irresponsabile di aprire tutto e subito, e magari togliersi le mascherine.

Draghi deve essere più netto su questo, secondo lei?

Lo è stato ma ora deve pretendere lealtà da Salvini. Penso che in un momento drammatico come questo sia immorale stare sia al governo che all’opposizione, partecipare all’unità nazionale e praticare la divisione. È un gioco pericoloso, ma fin troppo scoperto. Che va fermato.

Torniamo al malessere sociale. Questa crisi ha acuito il gap tra garantiti e non garantiti. Non crede che rischiate di essere i rappresentanti solo dei primi, cioè di un blocco sociale che tende a restringersi?

È una rappresentazione semplicistica. La contrapposizione non è tra l’infermiere che guadagna 1400 euro e il panettiere che alza di notte la sua saracinesca, tra il ristoratore costretto alle consegne e il rider che finalmente ha un contratto per portacele a casa, tra il giovane a partita Iva in smart working e l’operaio della logistica di Amazon, l’agricoltore che vede le gelate ad aprile per il mutamento climatico e il migrante africano che chiede diritti e dignità nelle campagne. Noi dobbiamo unire ciò che questo modello di sviluppo vuole dividere, metter l’uno contro l’altro. Per Forbes il numero dei miliardari nel mondo ha avuto un aumento record durante la pandemia. Senza andare lontano, sa quante tasse ha pagato ebay in Italia lo scorso anno? 147 mila euro. Meno di un ristorante. Ecco dov’è la vera disuguaglianza. E lì dobbiamo stare noi.

In questo contesto avete proposto ius soli e voto ai sedicenni, bandiere legittime da sventolare ma buone per la prossima legislatura perché in questa è impossibile. Non è prioritaria la questione sociale?

Sì, è la nostra ragione sociale. Ma i diritti sociali e civili si tengono e lo ius soli oltre che un atto di giustizia elementare e di responsabilità affronta anche una questione sociale. I nostri circoli ci chiedono proprio di definire sui temi sociali il nostro profilo. La nostra parola chiave, per il nuovo Pd, è il lavoro. Il lavoro in tutte le sue forme, dipendente, autonomo, cooperativo. Rappresentare tutti coloro che vivono non grazie a una rendita, ma al loro lavoro.

L’ho già sentita.

Il lavoro è il filo con cui ricucire la trama sfibrata della società, unire le ansie dei ceti medi impoveriti del Nord e la fame di lavoro del Sud. Con il Ministro Orlando stiamo lavorando a riformare le politiche attive. Di fronte allo strapotere dell’algoritmo, non possiamo lasciare soli lavoratori e piccole imprese, o delegarne la tutela ai giudici. Serve audacia. La scorsa settimana Biden ha lanciato un “piano del lavoro” da 2 trilioni di dollari. Altro che moderatismo. E dentro c’è la proposta di una tassazione minima globale per le multinazionali, che noi dobbiamo sostenere con forza.

Cito Arturo Parisi, il quale ha detto, secondo me a ragione, che il Pd ha la tendenza a essere subalterno a chiunque lo porti al governo. Prima Conte, ora c’è Draghi. Come si deve stare nel governo Draghi?

Io respingo questa lettura della subalternità. Dopo il governo gialloverde noi abbiamo ricollocato l’Italia sulla frontiera più avanzata dell’integrazione europea, aumentato le buste paga per i lavoratori dipendenti, cambiato radicalmente i decreti Salvini e fatto le regolarizzazioni, e messo in campo un’azione di riequilibrio territoriale per il Sud senza precedenti. Questo lo dico senza nessuna nostalgia, perché ora siamo in una fase nuova. Un governo di natura eccezionale per una fase eccezionale. In cui stiamo con piena responsabilità, ma anche con la libertà di condurre le nostre battaglie. E soprattutto, provando a coltivare un rapporto con gli italiani. Le faccio un esempio. Il Pnrr è finito in un cono d’ombra, ne vogliamo parlare?

Parliamone. Anzi, perché non se ne parla?

Al di là del tema della governance, di come si semplifica nel rispetto della legalità e di come si attrezza la PA con un reclutamento di competenze, che non penalizzi i giovani e non deleghi al “capitalismo dei consulenti”, come lo chiama Morozov, il futuro del Paese, ci sono questioni di merito aperte.

Quali?

Si legge dalle indiscrezioni che le nuove proposte dei ministri, in particolare di Colao e Cingolani, abbiano fatto crescere l’ammontare complessivo di 30 miliardi. Ora non si conoscono i dettagli, ma se ci saranno tagli non possono riguardare le infrastrutture sociali. Noi nella riscrittura del Piano abbiamo combattuto per aumentare la quota di investimenti. Penso alle risorse che abbiamo aggiunto per potenziare il piano asili nido in particolare al Sud. O per aumentare il tempo pieno a scuola. Bisogna evitare di introdurre incentivi non necessari e anzi usare le risorse per colmare una lacuna precedente, sulla non autosufficienza. Per noi sono priorità, vogliamo discuterne. Soprattutto, chiediamo che il Governo ne discuta con le parti economiche e sociali, prima della stesura definitiva. Anche per una ragione di fondo.

Cioè?

Come impattano gli investimenti sulle grandi crisi e gli asset strategici? Rete unica, logistica e trasporti, con la vicenda Alitalia. Ilva. Filiera automotive, con le scelte di Stellantis. Io domani vedo i sindacati dei metalmeccanici. O il PNRR affronta questi nodi o è un caciocavallo appeso.

Zingaretti, quando si è dimesso, ha detto che ha provato vergogna per il suo partito. Lei non ha mai commentato quel giudizio.

Ho espresso solidarietà umana e politica per Zingaretti, ma anche la convinzione che il Pd fosse molto meglio di come appariva in quei giorni.

Però le sue dimissioni sono state frettolosamente archiviate. Lei ora è vicesegretario. Quali sono le iniziative in campo per arginare il potere delle correnti e rinnovare il partito?

La scelta di Enrico Letta non ha congelato la discussione, anzi l’ha rilanciata nei luoghi più opportuni, i nostri circoli, coinvolgendo 40 mila iscritti. Non basta, adesso dobbiamo farla con la società italiana. La cura di cui ha bisogno il Pd è metterci più politica. Un grande partito ha bisogno di aree culturali, non di filiere di potere senza legami sociali

Il primo atto di Goffredo Bettini, ideologo della fase precedente che si è chiusa proprio sulla denuncia dello strapotere delle correnti, è proprio una nuova corrente.

Bettini lo ha escluso. Va preso in parola.

Il sottotesto è che Letta è un moderato è non c’è sinistra.

Nessuno ha il marchio doc della sinistra. Non c’è più un’origine controllata, anche perché i partiti di provenienza spesso sono sinonimo di patrimoni dilapidati, speranze tradite, bandiere ammainate. Ma non si rimprovera alle generazioni passate i compiti del presente.

Mi pare una critica proprio alla generazione di Bettini.

Io sono un uomo di sinistra. Ma so che questa parola, soprattutto alla mia e alle generazioni più giovani, dice poco o nulla. Va nuovamente riempita di senso, questa è la nostra sfida. E lo si fa non coi convegni sul vero riformismo, ma con battaglie ideali e concrete che suscitano passioni e speranze in pezzi di società: pezzi di società che spesso le fa queste battaglie senza di noi, e qualche volta anche malgrado noi. Non ha senso parlare di popolo in astratto. Il popolo non esiste. Il popolo è una costruzione politica.

Vecchia lezione del Pci. Ce l’ha con chi dice genericamente “dobbiamo tornare a parlare col popolo”?

Ora che abbiamo messo a fuoco le disuguaglianze, intravedo il rischio di una certa pigrizia a sinistra, di cedere a un paternalismo caritatevole. Noi non siamo la Chiesa, il nostro compito è un altro. La sinistra storica non diceva agli operai e ai contadini “mi occupo di te perché sei un perdente”, ma perché sei il motore della storia. Così, oggi, noi vogliamo rappresentare i giovani precarizzati, le donne che subiscono le disuguaglianze, coloro che abitano “i luoghi che non contano”, non perché “perdono”, ma perché solo con loro possiamo costruire uno sviluppo più forte, sostenibile. Perché sono essenziali alla nostra idea di società.

Lei da ministro disse che il suo Sud non è quello di De Luca, che ha vinto grazie a trasformisti, professionisti nel cambio di casacca, clientele. Cosa farete alle prossime amministrative?

Alle prossime amministrative dobbiamo costruire ovunque un’alternativa alle destre, la più forte e competitiva possibile. Dunque non c’è spazio per il trasformismo che è un male antico, soprattutto al Sud. Dobbiamo somigliare alle cose diciamo, altrimenti perdiamo la faccia.

Se cioè a Napoli gente che viene da Forza Italia o amici e parenti di capibastone di destra vi chiedono di candidarsi nel Pd sbarrate le porte o no?

A Napoli il Partito democratico è guidato da un giovane segretario che va sostenuto proprio perché si opporrà a ogni tentativo di appannare la nostra proposta politica. Si è avviato un rapporto positivo con il M5S che può portare a una proposta forte e credibile per riconquistare la capitale del Mezzogiorno.

Intanto De Luca fa quel che vuole sui vaccini.

Il regionalismo esasperato durante la pandemia ha mostrato tutti i suoi limiti, per questo è inaccettabile, su questioni cruciali come le vaccinazioni, l’idea di considerarsi come repubblica autonoma, che sia la Sicilia, la Lombardia o la Campania. Alla fine di questa storia andrà aperta una riflessione sulla riforma del Titolo V, che a mio giudizio su scuola e salute, grandi pilastri della cittadinanza, ha aggravato le disuguaglianze.

Mi dia una risposta vera, non diplomatica. Su Roma state ancora provando a convincere Zingaretti, giusto? C’è un sondaggio che lo dà vincente.

Non c’è bisogno di un sondaggio per capire che Zingaretti è la personalità politica più forte a Roma. Tanto più dopo una gestione della pandemia e della campagna vaccinale davvero esemplare. Ma Zingaretti ha escluso di voler correre, e mi pare abbia ampiamente dimostrato in queste settimane di voler decidere per sé della sua vita.

Non le ho ancora chiesto dei Cinque stelle perché credo che il chiacchiericcio sulle alleanze è stato il modo per non fare i conti con l’identità. Il Movimento è afono da quando non è più al governo. Non indica questo una crisi identitaria fortissima? Senza potere non hanno più nulla da dire.

L’M5S è impegnato in un processo di radicale cambiamento a cui guardiamo con attenzione. Vedremo all’esito del processo se Giuseppe Conte riuscirà a collocarlo senza ambiguità nel campo del centrosinistra. Vale per loro quello che tanti anni fa Bobbio disse per la sinistra: il loro destino dipende dalla loro natura. Ma anche per noi è tempo di concentrarci sulla nostra identità, altrimenti la discussione sulle alleanze sarà sempre lacerante.

Domanda secca. Chi è il punto di riferimento dei progressisti europei?

Vuole i nomi? Sanchez in Spagna e Costa in Portogallo hanno restituito dignità e orgoglio ai socialisti europei che nella crisi precedente li avevano perduti. Con loro Enrico Letta e il Partito democratico devono prioritariamente costruire una proposta per un’Europa dopo la pandemia.

E dei progressisti italiani?

Noi. Un Partito democratico progressista nei valori, riformista nel metodo, radicale nei comportamenti. C’è un mondo vasto che non aspetta altro di avere un partito così.

L’HUFFPOST

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