I silenzi di Draghi e l’ira di Erdogan
Nathalie Tocci
«Prevedibile» è un aggettivo poco usato, eppure accurato, per definire il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, e in particolare la sua politica estera. Se leggiamo le mosse di Erdoğan attraverso le lenti della politica interna turca e del costante tentativo di consolidare il proprio potere, le sue dichiarazioni o azioni, spesso considerate avventate all’esterno, diventano incredibilmente coerenti, e in quanto tale pure prevedibili.
Così è stato anche nella bagarre diplomatica con il presidente del Consiglio Mario Draghi. Non appena definito da Draghi “dittatore”, Ankara si è immediatamente levata il sassolino dalla scarpa, puntualizzando che Erdoğan è stato eletto, e pure ripetutamente, a differenza dell’omologo italiano. Il presidente turco ha atteso qualche giorno le scuse di Draghi. Erdoğan probabilmente quelle scuse neppure se le aspettava, ma qualora fossero arrivate sarebbero state usate convenientemente per accendere gli animi nazionalisti nel Paese, dai quali gran parte del proprio potere dipende. Ma anche il silenzio italiano ha fatto gioco al presidente turco. Non solo Erdoğan ma anche la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica turca – orgogliosa, patriottica se non nazionalista – si è sentita insultata dall’esternazione di Draghi. In quanto tale, la risposta di Erdoğan, che ha bollato come “maleducato” l’atteggiamento di Roma, ha messo a segno un altro punto nell’ardua battaglia per riacquistare consenso interno. Una volta fatto il primo passo falso dall’Italia, Erdoğan aveva già vinto l’unica partita che realmente gli interessa: quella in Turchia.
Questo vuol dire che i rapporti tra Roma e Ankara subiranno una inevitabile battuta d’arresto, che farà saltare investimenti, accordi commerciali o intese di sicurezza o migrazione tra i due Paesi o con l’intera Unione europea? La domanda da porsi è sempre la stessa: a Erdoğan conviene? La risposta è chiaramente no. Così come il presidente turco ha avuto e continuerà ad avere interesse e pure una certa soddisfazione a dare buffetti sulla testa a Roma per qualche tempo – altro esempio eloquente è stata la vista in pompa magna del presidente del governo di unità nazionale libico Dbeibah ad Ankara, accompagnato da ben 14 ministri, la settimana scorsa -, le relazioni con l’Italia sono e possono rimanere strutturalmente costruttive.
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