Vent’anni (persi) in Afghanistan
di Massimo Gaggi
Ritirando le truppe americane dall’Afghanistan Joe Biden archivia l’illusione — coltivata vent’anni fa dai neoconservatori repubblicani, ma poi diffusa anche tra i democratici — di poter esportare la democrazia arginando con la presenza militare feroci dittature che non rispettano i diritti civili. Buone intenzioni che nel primo scorcio di questo secolo si sono infrante contro realtà storiche difficili da modificare o hanno addirittura fatto saltare precari equilibri, dall’Egitto alla Libia, dallo Yemen alla Siria. La decisione, coraggiosa e controversa, del presidente democratico va vista a due livelli: quello dei rapporti internazionali coi rischi di un Afghanistan di nuovo radicalizzato che può tornare base di gruppi terroristici mentre Washington pensa di sorvegliare e, se necessario, intervenire da lontano usando la tecnologia dell’intelligence digitale e dei droni. Ma è importante anche l’aspetto dei riflessi interni negli Stati Uniti, stremati dall’impegno bellico più lungo della loro storia (il Vietnam, l’altro conflitto «senza fine» durò otto anni). Qui Biden, lontano anni luce da Donald Trump per mille aspetti, assume una posizione simile alla sua: la guerra in Asia Centrale liquidata come total waste, una colossale distruzione di risorse, non solo economiche. C’è di più: Biden si appropria di tre caposaldi di Trump — la fine della guerra, ma anche l’aiuto ai forgotten men, l’America impoverita, e il piano per le infrastrutture — cercando di trasformare in fatti quello che il suo predecessore ha annunciato per anni ma non ha mai realizzato.
In termini di proiezione dell’influenza americana nel mondo, questa decisione non rappresenta di certo un momento esaltante, ma contiene una presa d’atto di un mutamento degli scenari internazionali, di errori commessi e anche dei nuovi problemi interni degli Stati Uniti, forse non più rinviabile. Biden lo ha detto con franchezza nel suo messaggio alla nazione quando, da quarto presidente alle prese con questo conflitto, ha sostenuto di non volerlo trasferire al quinto.
Del resto lui era convinto già da più di un decennio che, eliminate le basi di Al Qaeda, l’America dovesse disimpegnarsi dall’Afghanistan «cimitero degli imperi» senza pretendere di imporre democrazia e diritti civili. Nelle sue memorie Barack Obama racconta che, appena divenuto presidente, fu incalzato da Biden, suo vice e contrario all’espansione della presenza militare in Afghanistan, che lo invitava a non farsi chiudere in un angolo dai generali. E George Packer in «Our Man», il suo bel libro sul grande diplomatico Richard Holbrooke, racconta che Biden, incontrando nel 2010 l’allora inviato speciale Usa in Afghanistan, si sfogò in privato, parlando del figlio Beau allora militare a Kabul: «Mio figlio rischia la vita per difendere i diritti delle donne, ma non funzionerà: non li abbiamo mandati lì per questo».
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