Il pane quotidiano
Mattia Feltri
Come tutti i padri, la sera torno a casa e talvolta mi tocca di puntellare i figli nello studio. L’altro giorno mio figlio dodicenne chiede una mano per l’interrogazione su Voltaire, Montesquieu e Rousseau. È il mio pane, gli dico. E mi metto lì. Seguendo il libro di testo (ben fatto) parto con benevolenza su Voltaire, il trattato della tolleranza, l’eguaglianza fra gli uomini e la dignità della loro fede, la necessità di scansare i pregiudizi e la superstizione, di illuminare di ragione la convivenza eccetera. Passo a Montesquieu e il mio ardore si fa febbrile: l’intollerabilità dell’assolutismo, la separazione dei tre poteri che si controllano reciprocamente, una trinità laica che da oltre due secoli e mezzo è a fondamento delle democrazie liberali, e il mio tono di voce si fa quasi oracolare.
Ed eccoci a Rousseau. Si vabbè, per carità, interessante, il buon selvaggio, la società che corrompe, l’idea del governo dei cittadini e della volontà generale, e il mio dovere è fatto. Gli domando: dei tre, chi preferisci? Rousseau, risponde, perché comandiamo tutti. L’equivoco è sempre lo stesso e devo ricominciare: la volontà generale, gli dico, non è il volere della maggioranza, la volontà generale emerge quando tu sai scegliere non quello che è meglio per te ma è meglio per la comunità, e su qualsiasi argomento, compresi quelli di cui non sai nulla.
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