Draghi: “Recovery, l’Italia rispetterà i tempi”. Arriva un decreto per la cabina di regia sui progetti

Ilario Lombardo

La realizzazione puntuale del Recovery plan è di fatto il motivo per cui Mario Draghi è diventato presidente del Consiglio. Il primo a saperlo è lui stesso. Certo, a febbraio, quando è stato chiamato al Quirinale, c’era anche l’imponente macchina dei vaccini da mettere in azione per salvare l’Italia dalla deriva sanitaria. Ma non ci sono dubbi che è sull’epocale gestione dei fondi comunitari che si giocherà il giudizio della storia sul governo dell’ex presidente della Banca centrale europea. Per questo motivo non deve sorprendere che a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia si siano molto irritati ad aver letto un articolo della Reuters che dava ormai come altissimo il rischio che l’Italia non rispetterà la scadenza del 30 aprile per la consegna del piano all’Europa. Draghi non è abituato a smentire indiscrezioni o retroscena, ma questa volta il peso della notizia era tale che il suo staff non ha potuto faro altro che correre a soffocare categoricamente lo scenario. L’idea che un’importante agenzia internazionale potesse mettere in dubbio, di fronte alla platea europea, la sua capacità di rispettare le tempistiche del piano economico più importante degli ultimi decenni non è andata giù al premier. «Va chiarito subito che rispetteremo la data del 30 aprile, senza nessun dubbio», è stato il mandato di Draghi ai suoi collaboratori. «Saremo puntuali» assicurano fonti della presidenza del Consiglio e del Tesoro.

Oggi Draghi, come previsto, vedrà Fratelli d’Italia e Italia Viva. Dopo i partiti, toccherà alle parti sociali, con i sindacati intenzionati a far pesare le proprie proposte. Dopo un passaggio in Consiglio dei ministri, il 26 e il 27 aprile il Pnrr (Piano nazionale di rinascita e resilienza) -un piano di spesa da 191,5 miliardi, di cui 69 a fondo perduto, 122 prestiti, più 30 del fondo di accompagnamento – arriverà alle Camere. Il premier e il ministro dell’Economia Daniele Franco hanno dieci giorni di tempo per trovare una sintesi e non perdere così la prima tranche del finanziamento, 27 miliardi, a luglio. E non è un compito facile come sembra. Ogni partito della larghissima maggioranza ha posto precise condizioni: il Pd su Sud, giovani e donne, il M5S sulla proroga al 2023 del superbonus, la Lega sul rispetto dell’italianità della filiera industriale che riceverà i fondi. La governance sul Recovery plan, infine, è un nodo che non è stato ancora sciolto. Come avvenne nelle ultime fatali settimane del governo Conte II, le forze politiche chiedono un posto in prima fila nella cabina di regia. Per non mortificare la volontà politica dei partiti, cercando però anche di evitare che la questione si trasformi in un’ulteriore perdita di tempo, il Mef e Palazzo Chigi hanno pensato di spostare la discussione su un decreto ad hoc. Non è ancora chiaro se il provvedimento accompagnerà o meno il Pnrr, ma sembra plausibile che se ne riparlerà dopo il 30. Quel che è certo è che dovrà contenere la definizione della governance. Al momento sotto la regia del Tesoro e della Presidenza del Consiglio sono coinvolti tutti ministeri guidati da tecnici più Roberto Speranza, ministro della Salute e leader di Articolo Uno. Una composizione che non soddisfa i partiti.

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