Mario Draghi e il patto col diavolo
Mario Draghi ha le mani bucate. Forte del suo personale prestigio, spende e spande come nessuno prima di lui. Ha già surclassato Giuseppe Conte sui ristori, impegnando nel nuovo decreto 40 miliardi, esattamente il doppio di quelli che all’Avvocato del popolo sembravano sufficienti. Vuole investire ulteriori 30 miliardi in aggiunta ai 191,6 che riceveremo dall’Europa, per un terzo a fondo perduto e per il resto da restituire. Il suo piano di grandi opere fa invidia a quello mitico del Cavaliere (manca solo il ponte sullo Stretto). Nemmeno Matteo Salvini avrebbe osato tanto se si fosse insediato a Palazzo Chigi con l’allegra brigata degli anti-euro. Secondo le previsioni, per colpa della pandemia, il debito 2021 arriverà a sfiorare il 160 per cento del Pil, più 25 punti in dodici mesi: roba che pochi anni fa saremmo andati dritti in default e lo Stato non sarebbe stato in grado di pagare le pensioni.
Chiunque, che non si chiami Draghi, verrebbe guardato come un giocatore di poker. La sua propensione al rischio, sia pure calcolato, solleverebbe ogni genere di censura. Invece nessuno in Italia contesta la prodigalità del premier, perché l’emergenza giustifica qualunque strappo. Anziché mettersi in allarme, i partiti sono unanimi nell’applauso e volentieri ripetono le spiegazioni che Draghi ha offerto nell’ultima conferenza stampa: è cambiato il paradigma, l’austerità non va più di moda, rigore fa rima con orrore. Fintanto che i tassi d’interesse resteranno a zero, nessuno Stato sarà soffocato dal peso dei debiti. Potrà fare tutti i “buffi” che crede, purché si tratti di debito “buono”, cioè finalizzato alla crescita dell’economia. Quello messo in cantiere non è semplicemente buono ma è un debito ottimo, da leccarsi le dita, tutto fatto di investimenti nei settori strategici e di riforme da troppo tempo attese. L’unico vero confine all’indebitamento pubblico non consiste nel numero degli zeri, semmai nella nostra capacità di spendere quei denari perché purtroppo siamo inefficienti anche in questo, dobbiamo fare progressi.
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