Mario Draghi e il patto col diavolo
L’altra faccia della medaglia? Se cresceremo poco, dopo aver speso tanto, allora davvero passeremo i guai. Verremo considerati un Paese irrecuperabile, un manicomio da cui fuggire a gambe levate. In soldoni: con Super Mario ci stiamo giocando l’ultima carta, stiamo stipulando un vero patto col diavolo. Se nemmeno stavolta saremo in grado di far ripartire l’economia, nessuno mai più ci farà credito. E qui sorge un problema politico di qualche rilievo, che riguarda il destino dell’ex presidente della Bce: più Draghi scommette sul futuro dell’Italia e più lo Stato si indebita; ma più il buco dei conti si ingigantisce e più lui, paradossalmente, diventa “deus ex machina”, perno fondamentale, cardine decisivo per la tenuta del sistema. Non potremo farne a meno perché vai a trovare un incantatore di serpenti del suo standing, appena esaltato dal “New York Times” come il vero leader della nuova Europa. In circolazione non esiste alcun personaggio altrettanto credibile agli occhi delle istituzioni finanziarie e dei mercati internazionali e capace di far digerire un tale sfondamento dei conti pubblici. Dopo Draghi, il diluvio. Il giorno che si ritirasse nella sua villa a Città della Pieve, dall’estero tornerebbero a guardarci per quello che siamo, cioè un Paese decotto. Arriverebbe ineluttabile il “redde rationem”. Tornerebbe a pesare il “vincolo esterno”. E nessuno vorrebbe trovarsi nei panni del successore, di centro o di destra o di sinistra che sia.
Ecco perché suonano fatui tanti disegni politici, e senza capo né coda i piani che prescindono dall’Imprescindibile, sottovalutano il suo ingombrante carisma. Liberarsene per i partiti non sarà facile. Tantomeno congedarlo di qui a pochi mesi con una cordiale pacca sulle spalle. Semmai potranno discutere in che veste dovrà rimanere. Anzi, il primo vero problema che i leader dovrebbero porsi è cosa fare di “Super Mario”, qualche ruolo assegnargli. Se pregarlo di restare a Palazzo Chigi finché non avrà completato il lavoro, anche al di là di questa legislatura, trasformandolo nel loro totem; ovvero tra nove mesi promuoverlo al Quirinale, dove regnerebbe per 7 anni fino al 2029. Ciascuna soluzione ha i suoi pro e i suoi contro. Ma nel nulla della nostra politica c’è pure una terza ipotesi: che a scegliere, alla fine, sia proprio lui.
L’HUFFPOST
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