Ecco come il Csm con Davigo in testa disse “no” al Colle

Il 23 maggio, però, c’è un colpo di scena. Si presenta Ermini, «al solo scopo di illustrare di persona» la richiesta delle audizioni, giocando l’ultima, e più pesante, carta: Mattarella, «che non ha mai avuto e non ha intenzione di interferire con la commissione», ma solo «invitarla a tenere conto di tutti gli elementi», come «le audizioni dei concorrenti disposte in casi analoghi in passato, che possano rafforzare le decisioni, incrementando la possibilità che reggano all’impatto con gli eventuali contenziosi».

Dunque, scandisce Ermini, «non è un’iniziativa mia personale: attraverso di me parla direttamente il presidente della Repubblica».

Morlini coglie l’assist: «Dobbiamo votare» sulla richiesta di Mattarella. E per rassicurare i riottosi garantisce tempi rapidi: dieci giorni. Mario Suriano (magistrato di Area, progressista) lo sostiene per «porgere domande ai concorrenti». Fulvio Gigliotti (docente eletto dal Parlamento su indicazione M5S) concorda «per cortesia istituzionale» a Mattarella.

Ma il fronte pro Viola non arretra. Vuole chiudere la partita. L’avvocato Basile contesta la richiesta proveniente «dall’esterno della commissione», ovvero dal Quirinale. Morlini, Suriano e Gigliotti difendono la legittimità dell’intervento di Mattarella, ma Davigo mette la pietra tombale: «Contrario. A mio giudizio la pratica è istruita a fondo e pronta per la decisione». E Lepre aggiunge che «l’audizione è un atto sostanzialmente inutile», lamentando «indicazioni contraddittorie» dall’alto. Aprendo il voto, Morlini mette a verbale che il no a Mattarella sarebbe «uno sgarbo istituzionale». Inutile. Tre a tre. Il pareggio equivale, per regolamento, a no. Il treno partito all’hotel Champagne non conosce più ostacoli. Viola ottiene 4 voti su 6. Il resto è storia. Anzi cronaca. Giudiziaria. —

LA STAMPA

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