Il museo di Jane Austen mette sotto accusa Jane Austen
È una verità universalmente riconosciuta che le distese del politicamente corretto possono essere ampie e sconfinate. Così può accadere che il museo dedicato a Jane Austen voglia indagare la stessa Jane Austen con l’intento di approfondirne i presunti legami col contesto coloniale. In altre parole, è in corso “un’indagine” per capire se la scrittrice sia colpevole di aver fatto uso di tè, zucchero e cotone, considerati “prodotti dell’impero”.
Lizzie Dunford, direttrice Jane Austen’s House Museum di Chawton, ha riferito al Telegraph la volontà di mettere in luce aspetti poco discussi della storia personale della scrittrice. Per esempio – viene evidenziato – il padre di Austen, il Reverendo George, oltre che pastore di una parrocchia locale fu amministratore di una piantagione di zucchero di Antigua. “La tratta degli schiavi e le conseguenze del colonialismo dell’era regency toccarono ogni famiglia possedesse mezzi economici durante quel periodo. La famiglia di Jane Austen non fece eccezione”, ha affermato la direttrice del museo. Dunford ha proseguito evidenziando che “in quanto acquirenti di tè, zucchero e cotone, gli Austen erano consumatori dei prodotti del commercio coloniale, con cui avevano legami anche più stretti tramite famiglia e amici”.
È stato dunque reso noto che tali circostanze saranno evidenziate con apposite indicazioni installate presso il Jane Austen’s House Museum, nell’ambito di un “processo costante e ponderato” di indagine storica sull’autrice. L’annuncio, ça va sans dire, ha scatenato subito polemiche. C’è chi ha definito l’iniziativa una “follia”, affermando che il museo sarebbe caduto vittima degli eccessi della cultura woke.
L’istituzione austeniana non è sola. Durante l’ultimo anno, l’ondata di proteste di Black Lives Matter ha portato diverse organizzazioni storiche e di alto profilo a “rivalutare” eventuali legami con schiavitù e razzismo. Tanto che il governo del Regno Unito, lo scorso settembre, ha inviato una lettera a 26 musei che ricevono finanziamenti pubblici per imporre lo stop alle rimozioni di statue ritenute controverse. La missiva, pubblicata dal Telegraph, porta la firma del segretario di stato alla Cultura, Oliver Dowden, e sottolinea: “Il governo non supporta la rimozione di statue o oggetti similari. La storia comporta complessità morale. Le statue e altri oggetti storici sono stati creati da generazioni con diversi punti di visita e diversi modi di comprendere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Alcune rappresentano figure che hanno detto o fatto cose che oggi potremmo ritenere profondamente offensive, e che non difenderemmo”. “Anche se”, continua la lettera, “oggi potremmo non essere d’accordo con coloro che hanno creato quegli oggetti o con coloro che quegli oggetti rappresentano, gli stessi rivestono comunque un ruolo importante per insegnarci il nostro passato, con tutti i suoi errori”.
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