Il museo di Jane Austen mette sotto accusa Jane Austen

Jane Austen, dunque, è solo l’ultima protagonista in ordine di apparizione di un romanzo dai molti capitoli. A ben guardare, eventuali accuse di razzismo o sfruttamento coloniale nei confronti della scrittrice avrebbero fondamenta ben poco solide. D’altronde, se ha ragione lo studioso Edward Said ad affermare che “sarebbe sciocco aspettarsi che Jane Austen tratti la questione della schiavitù con la stessa passione di un abolizionista o di uno schiavo appena liberato”, è altrettanto vero che, in romanzi come Mansfield Park, la scrittrice critica in maniera sommessa ma innegabile i presupposti della schiavitù. Va inoltre segnalata, per esempio, la frequenza con cui Austen cita nei suoi testi William Cowper, Doctor Johnson e Thomas Clarkson, tre autori che sostennero in modo aperto l’abolizionismo. 

Ma, come ben sottolineava un articolo a firma Melissa Burns pubblicato dalla Jane Austen Society of North America nel 2005, “la gente trova quello che va cercando. Sotto tutti i punti di vista, e lo studio della letteratura non fa eccezione. Le femministe che leggono Jane Austen possono trovare la sua arguzia, e talvolta aspri e violenti commenti contro gli uomini, il matrimonio e la mancanza di potere alle donne. Quando la leggono i teorici del post-colonialismo, trovano lo schiavismo e un sostegno all’espansione coloniale dell’Impero Britannico. Quando la leggono i marxisti trovano i mali della famiglia come microcosmo esemplificativo dei più ampi mali sociali del mondo. Ce ne sono molto pochi che cercano la vera Jane Austen, e quelle che potrebbero essere state le sue intenzioni quando si metteva a scrivere i suoi romanzi”.

L’HUFFPOST

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