L’azzardo del capitano
MARCELLO SORGI
Non era affatto scontata la rottura tra Draghi e Salvini, che lo ha portato ad astenersi sul mantenimento del coprifuoco alle 22 e sul decreto riaperture, un provvedimento che solo venerdì aveva approvato, considerandolo una vittoria della Lega. Un obiettivo centrato grazie alla lunga campagna a favore dei ristoratori e del movimento “Io apro”, anche quando le manifestazioni più recenti degli esercenti avevano assunto forme non proprio pacifiche. Come altre volte, Salvini avrebbe potuto minacciare senza poi arrivare alle estreme conseguenze.
Se invece s’è deciso a rompere, è in primo luogo perché ha avvertito le spinte che venivano dalle Regioni a guida leghista, e in particolare dai presidenti Fedriga, Friuli, oggi alla guida della Conferenza delle Regioni, e Zaia, Veneto, decisi a spostare alle 23 il coprifuoco e a ottenere un via libera per i ristoranti al chiuso. E poi perché ha sentito troppo forte sul collo il fiato della leader di Fratelli d’Italia, Meloni. Così, dopo aver sostenuto che l’anticipo al 26 aprile delle riaperture era il risultato della presenza della Lega al governo e della sua personale interlocuzione con il premier, e il Carroccio non sarebbe stato accontentato se fosse stato all’opposizione, alla fine non è riuscito a resistere. Da quando il governo è nato, e sono ormai quasi tre mesi, il Capitano leghista vive questa contraddizione.
Fosse stato per lui il dilemma se entrare o no nel governo di unità nazionale si sarebbe risolto molto probabilmente con la Lega fuori. Sono state le pressioni dei governatori e dell’elettorato leghista delle Regioni del Nord, a forte presenza imprenditoriale, che volevano scommettere su Draghi, a convincerlo. Ma dal primo momento, il leader leghista, abituato a fidarsi del suo fiuto, spesso infallibile, ha capito di dover fare i conti con la martellante concorrenza della Meloni. Tal che, più lui si batteva per dimostrare la giustezza della propria posizione a metà tra maggioranza e opposizione, tra senso di responsabilità e populismo, tra conversione all’europeismo e ritorno all’abbraccio con Orban, più la Meloni continuava a colpirlo ai fianchi, per dimostrare che la sua ambiguità non era credibile, che l’unico partito che poteva vantarsi di non esser mai stato al governo con le sinistre era Fratelli d’Italia, e la sola vera battaglia contro l’odiato ministro della Salute, Speranza, era quella condotta dalla destra d’opposizione, con la mozione di sfiducia, mentre Salvini doveva accettare che Speranza sedesse al fianco di Draghi nella conferenza stampa dell’annuncio delle riaperture e ricevesse dal premier piena solidarietà e attestazioni di stima.
Pages: 1 2