Draghi: “Italia fragile ma non destinata al declino”. Nel Recovery green, giovani, sanità e riforme

Marco Grimaldi

L’Italia è certamente fragile ma non è destinata al declino. Parola del premier. Parola di Mario Draghi che lo scrive nero su bianco nella bozza di Recovery fund che si appresta a presentare ad inizio settimana alle Camere e poi in Europa. «La pandemia di Covid-19 ha colpito l’economia italiana più di altri Paesi europei. Nel 2020, il prodotto interno lordo si è ridotto dell’8,9 per cento, a fronte di un calo nell’Unione Europea del 6,2», scrive Mario Draghi nella bozza di premessa al Pnrr, insomma, «l’Italia è stata colpita prima e più duramente dalla crisi sanitaria. Ad oggi sono stati registrati oltre 110.000 decessi ufficiali dovuti al Covid-19, che rendono l’Italia il Paese che ha subito la maggior perdita di vite nell’Ue».


Parità di genere

Tuttavia, la storia economica recente dimostra che l’Italia non è necessariamente destinata al declino. Nel secondo dopoguerra, durante il miracolo economico, il nostro Paese ha registrato tassi di crescita del PIL e della produttività tra i più alti d’Europa. In particolare, scrive Draghi, «le riforme strutturali sono essenziali per migliorare la qualità della spesa da parte delle amministrazioni pubbliche e incoraggiare i capitali privati verso investimenti e innovazione». Da qui, l’esigenza di un piano, se si preferisce Pnrr che sappia mettere in moto risorse ed investimenti. A cominciare dalla rete. Come dire: internet veloce su tutto il territorio nazionale entro il 2026. L’obiettivo del Pnrr in materia di digitalizzazione è di portare connessioni, infatti, a 1 Gbps a oltre 8 milioni di famiglie, 9 mila scuole, 12 mila ospedali e nelle 18 isole minori. Non solo rete naturalmente ma anche investimenti sulle ferrovie (oltre 29miliardi), nell’ambiente e appunto sulla transizione digitale e ambientale. Nel totale il piano che l’Italia manderà in Europa avrà un impatto sul Pil di 3,6 punti percentuali e sull’occupazione di 3 punti al 2026, ultimo anno del Recovery plan. Con il 40 per cento circa delle risorse destinate al Mezzogiorno, il 38 per cento al green e il 25 per cento al digitale. Un fondo extra, poi, sarà utilizzato per coprire i progetti che resteranno fuori dal Piano, che potranno avere scadenze più lunghe e saranno svincolati dall’obbligo di rendicontazione all’Ue. Naturalmente, l’esecutivo è ancora al lavoro sul testo e restano alcuni nodi da sciogliere, a partire dalla definizione della governance e dalle risorse per la proroga del superbonus al 2023. Tanto che la riunione del Consiglio dei ministri per il primo esame è slittata a domani mattina. Il testo sarà quindi ulteriormente limato nel weekend, e lunedì e martedì il premier lo presenterà alle Camere. Il via libera definitivo dovrebbe arrivare tra mercoledì e giovedì, in tempo utile per l’invio a Bruxelles il 30 aprile. Nella bozza in circolazione si legge che il governo «intende estendere la misura del Superbonus 110% recentemente introdotta (articolo 119 del Decreto Rilancio) dal 2021 al 2023» ma si tratta dell’estensione già prevista dalla legge di bilancio solo per le case popolari. Al momento sono previsti 18 miliardi, tra i 10,26 già stanziati e gli 8,2 aggiuntivi del fondo extra Recovery, la stessa dote indicata dal piano del governo Conte. Tali fondi serviranno per finanziare la proroga della detrazione al 110% al 30 giugno 2022 per le singole case e al 31 dicembre 2022 per i condomini che abbiano concluso a giugno il 60% dei lavori, con la possibilità solo per le case popolari di arrivare a giugno 2023, così come previsto dalla legge di bilancio. Tuttavia, spiegano fonti di governo, l’orientamento è di arrivare a settembre per fare una valutazione sui dati effettivi e sugli aspetti economici della misura e se sarà positiva, prorogarla con la legge di bilancio stanziando ulteriori fondi. Per estendere il superbonus al 2023 per tutte le categorie sono infatti necessari altri 10 miliardi di euro. Rispetto alle risorse già disponibili, viene inoltre spiegato, se il tiraggio della misura dovesse risultare piu’ basso e ci fossero dei risparmi, si potrebbe valutare di utilizzarli sugli anni a venire e non dirottarli su altri interventi. Quindi ci sarebbe un impegno politico a confermare la misura ma sulla base dei risultati. Ma al di là delle limature che subirà da qui in avanti il testo, alcune centralità restano: ecco quali.

Spunta un nuovo «Sistema nazionale di certificazione della parità di genere» con uno stanziamento di 100 milioni nell’ultima bozza del Recovery Plan: l’obiettivo è definire un sistema che «accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente “critiche” (opportunità di crescita in azienda, parità salariale, gestione delle differenze di genere, tutela della maternità)». Il sistema sarà aperto a tutte le imprese nella fase sperimentale, fino a giugno 2026 sarà agevolata per le Pmi e le microimprese, e accompagnata da servizi di assistenza.

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