Il tempo delle scelte scomode

Mario Deaglio

Per affrontare la tematica della quasi impronunciabile sigla Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è opportuno, anzi doveroso, porsi una domanda in apparenza impertinente: ma gli italiani vogliono davvero che l’economia cresca? Oppure la “ripresa” per molti non è un viaggio, necessariamente pieno di incertezze e di rischi, in un mondo che non li aspetterà all’infinito bensì un ritorno al “dove eravamo” prima del Covid-19?

E la “resilienza” è il poter ritrovarsi, nelle lunghe sere d’estate, su una bella piazza a bere qualcosa di fresco?

Nei primi Anni Cinquanta, quando intrapresero l’avventura del “miracolo economico”, gli italiani avevano, per metà, meno di trent’anni, e gli anziani erano relativamente rari; oggi la metà meno giovane va dai 47 anni insù e all’incirca uno su tre ha i capelli bianchi. Gran parte dell’Italia non vuole gli immigrati ma non è neppure disposta a fare qualche sacrifico perché i giovani trovino un lavoro; e pur di bere qualcosa nelle sere d’estate, chiude un occhio sulla generale incapacità delle autorità locali a trasportare gli studenti tra casa e scuola, e viceversa, senza trasportare anche il virus. In questo contesto, le 318 pagine del Piano presentato ieri dal governo delineano condizioni necessarie ma non sufficienti, anche se le riforme in esso illustrate sono delle vere e proprie “boccate d’aria fresca” in un’atmosfera, non solo economica ma anche civile, a tratti soffocante. Basterebbe instradare giustizia e amministrazione pubblica lungo le linee indicate nel Piano per concludere che le energie impiegate nella sua preparazione sono state comunque spese bene. I “tre assi strategici” (digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale) sembrano tuttavia rappresentare più il recupero di intollerabili debolezze del passato che una vera preparazione per un salto nel futuro. E lasciano quindi aperti gli interrogativi – tipici, infatti, di un governo “politico” – su dove vogliamo andare, sul tipo di Paese che vorremmo diventare di qui a dieci o vent’anni. Con molta sincerità il documento chiarisce che, in base a questo Piano, il Pil italiano intorno al 2026 crescerà alla velocità di circa 1,5 per cento l’anno. La velocità di crociera da raggiungere perché l’economia italiana rimanga “in volo”, e la crescita non torni quindi ad abbassarsi, è generalmente stimata in almeno il 2 per cento.

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