Cartabia: “Giustizia, uniti sulla riforma o non avremo i soldi Ue”

Massimo Giannini

«Superiamo la tentazione dello scontro continuo. In una data così simbolica per l’Italia, che segna il tempo della Liberazione, della rinascita, della ricostruzione, proprio la Giustizia può e deve diventare il terreno sul quale ritrovare lo spirito di unità nazionale. Le diversità resteranno, come nella stagione che portò alla nascita della Costituzione, ma come allora si può provare a ricomporre le fratture su progetti precisi in nome di uno scopo più grande. Deve essere molto chiaro che senza riforma della Giustizia, niente fondi del Recovery. E per un compito così importante, serve responsabilità e volontà di tutti». Dopo più di due ore di conversazione con Marta Cartabia, ho infine capito cos’è il “Metodo” che porta il suo cognome. Una fede incrollabile nella ragione e nella forza del diritto, una ricerca irriducibile della conciliazione tra gli opposti, da impastare con i valori costituzionali e i principi repubblicani.

È in nome di questi, oggi, che la ministra della Giustizia celebra il 25 aprile tratteggiando una saldatura ideale tra quello che successe nel ‘45, quando un popolo esausto e diviso ritrovò nella Resistenza al nazifascismo le ragioni del suo stare insieme, e quello che succede oggi, quando un’Italia stremata per un’altra guerra, quella contro il virus, deve riscoprirsi nazione attraverso le riforme condivise, senza le quali i 191 miliardi del Recovery, il nostro Piano Marshall, resteranno nei caveaux di Bruxelles. Mi resta solo un dubbio, alla fine della nostra intervista nel suo ufficio di Via Arenula, che è stato il campo di Agramante di tutte le battaglie tra magistratura e politica da Tangentopoli in poi: Cartabia ci crede davvero? È davvero convinta che si possa riformare la giustizia e raggiungere una tregua alla “guerra dei trent’anni”, in un governo votato da Berlusconi e Salvini?

Lei giura di sì, «intorno a obiettivi concreti, anche se – specifica – non esistono bacchette magiche». E io vorrei crederle. Ma non ci riesco. Al di là delle sue migliori intenzioni.Ministra Cartabia, perché il suo appello dovrebbe funzionare? Perché dovrebbe riuscire a lei e al governo Draghi quello in cui hanno fallito tutti i governi dal 1993 in avanti?
«Vede, la festa del 25 Aprile ci riporta alla mente anni di lacerazione fortissima, ma soprattutto un grande momento di riscatto. Evoca lo stato d’animo di un popolo che seppe mettere da parte le conflittualità, pur conservando le differenze. Seppe ritrovare il coraggio per unirsi e per ricostruire una nazione libera e democratica. La giustizia, molto più che altri ambiti, è stata una trincea dove si è consumato uno scontro di idee e di sensibilità tra i vari soggetti istituzionali, politici e sociali. Ora deve diventare il terreno dove cercare una convergenza, che non è solo trovarsi a metà strada, ma immaginare una mappa di principi in cui tutti possano riconoscersi. Abbiamo il dovere di farlo, per il bene delle future generazioni».

Mi perdoni, lo hanno detto tutti i suoi predecessori, appena entrati in questo ufficio. Cosa è cambiato, rispetto a prima?
«È cambiato tutto. Non è retorica, è realismo: abbiamo un compito storico, un’occasione irripetibile per l’Italia. È il Recovery Plan, che il presidente Draghi presenterà alle Camere e trasmetterà alla Commissione Ue la prossima settimana. Vorrei che una cosa fosse ben chiara, ai partiti e ai cittadini: insieme a quella della Pubblica Amministrazione, la riforma della giustizia è il pilastro su cui poggia l’intero Piano nazionale di ripresa e resilienza. Se fallisce questa riforma, molto semplicemente, noi non avremo i fondi europei. Non avremo le risorse necessarie a rimettere in piedi il Paese dopo la pandemia. Questa è la posta in gioco. Per questo faccio appello al senso di responsabilità delle forze politiche, perché rinuncino al conflitto permanente e ammainino le “bandierine identitarie”, come ha detto il premier…».

Ammettiamolo: finora non è accaduto.
«In questi due mesi e mezzo abbiamo indirizzato i primi passi nella direzione di ricreare un clima di fiducia reciproca. Ma ora comincia la fase cruciale, non neghiamolo. Le polemiche di giornata non ci devono distogliere dall’obiettivo più alto. Discutiamo pure sui singoli tecnicismi, ma non perdiamo di vista il compito ultimo e lo spirito con cui è nato questo governo».

E secondo lei oggi aleggia il “Veni creator Spiritus”, con Matteo Salvini al posto di Benedetto Croce?
«Lo spirito costituente non può esser dato per scontato, va custodito e riconquistato ogni giorno. All’interno del governo, io avverto una “gravitas”, un senso di consapevolezza della nostra missione. Ma come abbiamo visto in quest’ultima settimana, le increspature o i motivi di possibile dissenso possono essere ovunque. Basta che non si trasformino in insanabile dissidio. Per questo occorre una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti. Lavoriamo per il bene comune».

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