La fiera della viltà e dell’autoipnosi da Mani Pulite al Recovery
In un libro bello e denso (“30 aprile 1993”, Marsilio), Filippo Facci ricostruisce le ventiquattro ore in cui finì la politica. È, appunto, il 30 aprile 1993, il giorno delle monetine al Raphaël: il Parlamento aveva negato parte delle richieste di autorizzazione a procedere avanzate dalla procura di Milano nei confronti di Bettino Craxi, e si sollevò la prima grande rivolta degli onesti, sublimata dal lancio di monetine al capo socialista. Gli onesti si annidavano ovunque: in aula, dove nessuno aveva accolto l’invito di Craxi a riconoscere sistemico e non puramente criminale il circo delle tangenti; nei giornali, dove s’era instaurata una SuperLega degli sceriffi riemersi dalle nebbie alle costole dei banditi; nell’imprenditoria, dove la via di scampo era consegnarsi alla giustizia, naturalmente nel ruolo dolente dei taglieggiati; e poi nel popolo, che trovava il riscatto dopo essere rimasto con la testa sotto il tallone dei partiti, e mai sfiorato dal dubbio che i partiti erano stati la garanzia massima di decenni di crapula per tutti. Fu la fiera della viltà e dell’autoipnosi, e ce la siamo trascinata fin qui, ai tempi del Recovery fund, l’ultima chance di ammodernare un paese rimasto nel Novecento, e tuttavia convinto di essere restato indietro perché qualcuno continua a rubacchiare.
Nel libro di Facci c’è un passaggio formidabile sugli imprenditori per bocca di Mario Chiesa: “Corruttori pronti a prendere calci nel culo, a subire ogni vessazione, sempre pronti a presentarti ventisette donne pur di non uscire dalla loro nicchia ed evitare di misurarsi col libero mercato”. Questo mi sembra il fuoco della questione. Gli anni di Mani pulite sono passati alla storia come quelli del disvelamento della mazzetta globale, ma in realtà nessuno lo ignorava, semmai fu più chiara la voracità e l’insostenibilità, e fu chiara l’occasione di liberarsi di una partitocrazia farraginosa, a essere buoni, ma costituita dalle forze che (con il Pci) avevano fatto il 25 Aprile, avevano steso la Costituzione antitotalitaria, avevano risollevato l’Italia fino al miracolo economico. Dovevano invece passare alla storia come gli anni in cui riconoscere che un’epoca era finita, che non si poteva più tirare avanti con la spesa pubblica e la svalutazione competitiva della lira, che tirare a campare era il decrepito motto andreottiano, che il mondo era cambiato e per nuotarci dentro toccava cambiare.
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