La fiera della viltà e dell’autoipnosi da Mani Pulite al Recovery

Nella seconda metà degli anni Ottanta la Lega di Umberto Bossi infiammò il Nord non per razzismo ma perché il Nord sentiva l’esplosione di una forza centrifuga: le imprese, specialmente quelle non incancrenite nell’assistenzialismo della tangente, non riconoscevano più il baricentro di Roma, guardavano all’Europa, soprattutto alla Mitteleuropa del marco tedesco, avvertivano a pelle una nuova energia che avrebbe portato all’abbattimento dei confini e il confine fatale della Cortina di ferro, il Muro di Berlino, sarebbe infatti venuto giù di lì a poco. Fa sorridere, ma la Lega di Bossi con la sua Europa dei popoli era originariamente tanto all’avanguardia quanto è arretrata e micragnosa la Lega di Salvini. Roma ladrona era in realtà la capitale di un sistema superato e serviva ora gettarsi nel millennio che si apriva. Non dimentichiamolo mai: Mani pulite cominciò con l’arresto di Chiesa il 17 febbraio 1992, dieci giorno dopo la firma del trattato di Maastricht con cui si stabiliva l’Unione monetaria europea.

In un articolo sul Sole24 Ore del 2018, Barry Eichengreen (economista dell’Università di Berkeley, California – perdonate la suggestiva nota biografica: sua madre è Lucille Eichengreen, ebrea vissuta nel ghetto di Lodz e sopravvissuta a tre campi di concentramento, fra cui Auschwitz; i suoi libri sono editi in Italia da Marsilio) scrive che il boom economico e la successiva stagnazione della nostra economia sono le due facce della stessa medaglia. E cioè, un sistema che ha funzionato benissimo di colpo non funziona più: “L’Italia riuscì a mantenere la crescita fino a metà degli anni Novanta perché la concorrenza dei prodotti d’importazione era limitata, perché si poteva svalutare la lira per ripristinare la competitività e perché il paese rimaneva a una certa distanza dalla frontiera tecnologica. Fare le solite cose nei soliti modi continuava a fruttare, anche se meno di prima”. Poche righe e definitive. Ne servono altre: “Tutto questo cambiò negli anni Novanta, prima con l’euro (in realtà sarebbe arrivato dal 1° gennaio 2002, ndr) , poi con l’intensificarsi della concorrenza cinese e soprattutto con la rivoluzione informatica… gli amministratori delle aziende erano riluttanti a mettere a rischio questo capitale …, le aziende statali erano scarsamente incentivate a riorganizzarsi, le banche erano… riluttanti a prestare soldi per finanziare progetti non collaudati, radicalmente nuovi, e i politici non avevano alcun desiderio di alterare lo status quo”.

Quella di Eichengreen è una diagnosi senza pietà: non si innova l’istruzione, specialmente nella preparazione linguistica e matematica; non si innova il mercato del lavoro, troppo affezionato alle tutele novecentesche, ormai inadeguate; se c’è tentativo di innovazione di un assetto, il tentativo è frenato dagli altri assetti, a turno; ogni raro tentativo di riforma (aggiungo io) è bloccato o scolorito dalle resistenze di corporazione, poiché il ricordo del passato è più consolante dell’incertezza del futuro. L’Italia s’è infilata in una trappola infernale. “La partecipazione al mercato unico, e poi all’euro, sarebbe dovuta servire a scuotere l’Italia per farla uscire da questo equilibrio negativo”, continua Eichengreen, ma siccome non ce la fa, e siccome deve autoassolversi, non cerca di adeguarsi all’euro, e cioè al mondo, ma dichiara l’euro inadeguato a sé.

Ieri è stata presentata la bozza del Recovery, e domani è il 25 aprile, e spero che la data coincida con la liberazione dalla follia per la quale ci servono politici onesti, mentre ci servono politici capaci e soprattutto ci serve un paese che non ha paura del futuro, ma ritrovi il coraggio di buttarcisi a capofitto.

L’HUFFPOST

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