Gianni Cuperlo: “Salvini? Mi vergogno per lui, se rompe non mi vesto a lutto”

Ma Letta lo definisce il “vostro” Governo.

È un Governo che sosteniamo con lealtà perché sappiamo che dal suo successo dipende l’uscita dall’emergenza sanitaria e sociale. Ma è evidente che questa non è e non sarà mai la “nostra” maggioranza perché le differenze non scompaiono dietro un voto di fiducia.

Quindi neppure l’agenda Draghi per lei può essere definita la “vostra” agenda?

Per me conta il merito. Ricercare un patto per la ripresa come indicato da Letta, incalzare l’Europa su una mutualizzazione dei debiti, redistribuire risorse a vantaggio di chi non ce la fa, investire su sanità e scuola pubblica: questa agenda è la nostra agenda. Invece quando la Lega si batte per condonare multe di 15 anni fa anche a chi le poteva pagare, difende un’agenda che non è la nostra.

Lei continua a parlare di alleanza con i Cinque Stelle, anche dopo il video di Beppe Grillo. Le sembrano le parole di un “garante” affidabile e non pensa che Conte abbia perso l’occasione per emanciparsi da Grillo?

Quel video è un misto di arroganza, disperazione e violenza. Le sue parole sono irricevibili perché cancellano un’idea di rispetto della dignità e autonomia di ogni donna. Tocca a Conte e al Movimento che si candida a guidare prenderne le distanze culturali e politiche perché quella diventa la condizione stessa di un’alleanza tra noi.

A proposito, ha notizie di Giuseppe Conte? Sembra Godot… Magari ci parla anche lei, o solo Massimo D’Alema gli dà consigli?

Non l’ho mai incontrato, posso dirle che ho apprezzato lo stile dell’uscita dal Palazzo, questo sì, perché entrare nei Palazzi è relativamente semplice, le persone si capiscono meglio da come ne escono.

A proposito di D’Alema, una volta, a proposito di primarie, che sono una assurdità ha spiegato che con quel metodo Berlinguer non sarebbe mai diventato il segretario del Pci perché dopo Longo la scelta sarebbe caduta tra Amendola e Ingrao. Cioè compito di un partito è scegliere. La pensa allo stesso modo?

Detto che parliamo di due secoli e due mondi diversi credo abbia ragione. Il punto è che quel partito non avrebbe mai delegato la selezione della propria classe dirigente a fattori esterni, che si trattasse della televisione o di milioni di persone chiamate a deciderne il vertice. Posso raccontarle un episodio?

Solo se breve.

Una volta Giancarlo Pajetta mi spiegò perché i socialisti sbagliavano a far eleggere Craxi direttamente dalla platea del Congresso, parliamo di un migliaio di delegati, e l’argomento era che in quel modo il segretario acquisiva troppo potere. Mi disse, “metti che quello impazzisce che fai? Devi riconvocare un Congresso”. Almeno gli è stato risparmiato il trauma di vedere il leader di un partito della sinistra nominato anche da chi in tasca aveva un quotidiano della destra.

Capisco, c’è però il particolare che di quel metodo avete fatto la carta d’identità del Partito Democratico. Lei, se ho capito, abolirebbe le primarie proprio ora che le state convocando per scegliere i candidati nelle città?

Io dico che una cosa è usare le primarie per scegliere un sindaco, un presidente di regione o il candidato premier, altra il leader di un partito. Penso che quello fu un errore nell’impianto del Pd anche se nella prima fase ha favorito un clima positivo di partecipazione dal basso.

È l’unica cosa superata? Non crede che quel “mi vergogno” di Zingaretti sia stato frettolosamente archiviato, e l’andazzo non è poi così cambiato?

Credo, e come me altri, che rispetto al progetto iniziale il Pd vada rifondato. Quel “mi vergogno” non ha aiutato. A due mesi di distanza comprendo l’amarezza personale, ma continuo a pensare che i problemi si affrontano.

Secondo lei Zingaretti si candida a Roma?

Al momento per Roma è in campo la candidatura di Gualtieri ed è un’ottima candidatura. Detto ciò quella di Zingaretti sembra essere la soluzione più competitiva. Se è così la scelta dipende da lui, mi permetto solo di suggerire che il nodo si sciolga presto perché bisogna avere rispetto verso le persone, tutte.

Quale è la vera discontinuità che ha portato Letta rispetto a Zingaretti?

Ho parlato di una rifondazione del progetto e le prime mosse di Letta mi fanno ben sperare perché è partito dal restituire ruolo e voce agli iscritti mostrando che nel Pd ci sono energie da valorizzare. Le primarie, anche per come sono state gestite nel tempo, questo patrimonio avevano finito col mettere ai margini.

Sempre al 18 per cento siete inchiodati, non pensa che serva uno scatto, una rottura, un qualcosa, per evitare che di qui al voto sia una lunga attesa di un inevitabile svolta a destra?

Certo che lo penso e so che su un’agenda sociale più radicale ci giochiamo il paese e il nostro futuro. Dal mio punto di vista quella rottura ha bisogno di qualche eresia perché non puoi tremare se il segretario generale dell’Onu evoca una patrimoniale; devi avere un’idea di cittadinanza che includa anche le vite precarie e sono milioni. Devi fare dei diritti umani una bussola, ma infine devi ripartire dalla dignità della persona, quella che una ideologia del merito viziata ai blocchi di partenza ha umiliato per decenni. Facciamo la metà di questo e il paese capirà chi siamo.

Cuperlo, faceva prima a dirmi che lei rivuole il Pci.

No, io guardo a forze nate sull’onda della popolarità di questa o quella figura e scomparse nel giro di una stagione e dico che è accaduto perché un partito non lo tieni assieme senza una radice, una cultura che lo preservi, senza un pensiero sul futuro. Se non sei capace di spiegare a un ventenne a cosa servi e chi vuoi rappresentare, con chi ti allei nella società sarai al massimo un buon prodotto televisivo. Ma la politica e la sinistra sono un’altra cosa.

L’HUFFPOST

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