Recovery, sulle 500 schede-progetto l’occhio della Commissione europea
Il rapporto fra i partiti, il nucleo tecnico del governo e Bruxelles è però l’altra dinamica che sta cambiando. Più di quanto molti abbiano capito a Roma, soprattutto in vista dei prossimi anni. Perché sempre più è chiaro, almeno a Bruxelles, che quelle oltre 500 pagine di schede-progetto mandate dall’Italia non sono solo la messa in musica delle 300 pagine del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr). Sono di fatto il programma, già scritto dal governo a Roma e blindato nel rapporto con Bruxelles, della prossima legislatura in Italia. I cronoprogrammi allegati al Pnrr e gli obiettivi quantitativi delle schede sono infatti più di semplici impegni: sono soglie che possono bloccare i singoli pagamenti dei fondi Recovery, qualora non siano superate nei modi e nei tempi previsti. La prima vera verifica dell’attuazione del piano e delle relative riforme cade probabilmente fra dicembre e gennaio prossimi. Ma questo meccanismo resterà attuale per la durata del Recovery fino al 2026, a scadenze di pochi mesi da un esborso all’altro. Anche perché i singoli governi europei, anche i più intrattabili, avranno un diritto di mettere in pausa i pagamenti agli altri se hanno dubbi e rimostranze. Non è ancora chiaro come funzionerà esattamente il meccanismo degli «alert» e cosa accade su un Paese salta un impegno. Ma quel meccanismo ci sarà.
Per questo non basta neanche a un governo guidato da una figura credibile come Mario Draghi indicare intenzioni. La Commissione vuole scadenze e obiettivi misurabili, perché ha bisogno di strumenti di lavoro. E vuole riforme senza ombre. Vuole obiettivi cifrati sull’emersione del lavoro sommerso, inclusi dati, sanzioni previste, certezze sulla lotta al caporalato. Vuole anche più certezze operative su merito e tempi delle norme per la concorrenza (il governo di Giuseppe Conte non aveva lasciato niente e Draghi ci è arrivato all’ultimo). Né accetterà un ritorno mascherato alle pensioni a 62 anni. E ha dubbi su un meccanismo come quello di Industria 4.0 del Recovery perché troppo generico (quasi ogni spesa strumentale rientra negli sgravi) o in un ecobonus che include le terze e le quarte ville dei ricchissimi.
Quello che uscirà da questo confronto con Bruxelles sarà dunque un programma (blindato) di governo. Fino al 2026.
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