L’indipendenza dell’ex burocrate
Mario Draghi, invece, ha potuto dire quel che riteneva giusto dire precisamente per la distanza che lo separa da tutti i partiti, per il poco o nulla che ha loro da chiedere e forse anche per il lungo tempo che ha trascorso lontano dall’Italia, circostanza che gli ha impedito di assuefarsi a una tale dialettica politica, se vogliamo chiamarla così. Del resto, per le stesse ragioni ha potuto dire a Salvini “Speranza non si tocca”, a Letta “il 26 cominciamo a riaprire il Paese” e ancora al centrodestra “il coprifuoco resta alle 22 e ne riparliamo più in là”. Questa distanza, naturalmente, potrebbe trasformarsi in debolezza di fronte a un improvviso scarto di questo o quel partito. Ma uno scarto per andare dove, per fare cosa e in che tempi? Il futuro prossimo della legislatura – infatti – sembra segnato, almeno fino all’elezione del nuovo capo dello Stato. Realismo e buon senso, dunque, consiglierebbero di metter da parte le polemiche inutili per concentrarsi sulle cose da fare. Ieri, almeno per la Festa della Liberazione, è andata così. E si può dunque festeggiare l’aver evitato un altro scontro su quali italiani sono stati “brava gente” e quali no. Per saperlo, poi, non occorreva che arrivasse Draghi: bastava e basta un libro di storia… —
LA STAMPA
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