Coprifuoco e varianti
ANTONELLA VIOLA
In questi giorni, due argomenti alimentano il dibattito televisivo e le analisi sui giornali: le riaperture e la variante indiana. Nonostante la prima questione venga affrontata prevalentemente su un terreno di scontro politico, il tema si presta invece a una attenta analisi scientifica. I dati ci dicono che siamo molto distanti dalla situazione in cui ci trovavamo un anno fa, quando iniziarono le riaperture: contagi alti, ospedali ancora pieni e un numero inaccettabile di morti. Se ci fermassimo a esaminare questi dati, dovremmo dire che le riaperture sono una follia e che bisogna attendere almeno un altro mese per far abbassare la curva del contagio. Tuttavia, ci sono altre riflessioni che ci possono far vedere le cose in modo diverso. Prima di tutto, l’allentamento delle restrizioni non è stato proposto senza tener conto della gradualità e del rischio. Si è deciso di far ripartire solo la scuola e le attività all’aperto. I dati ci dicono che la scuola non incide in modo sostanziale sul valore di Rt e che quindi non rappresenta il motore dell’epidemia. Per quanto riguarda il rischio di contagio all’aperto, sappiamo che è bassissimo: circa 1 contagio ogni 1000 si verifica in queste condizioni, verosimilmente in presenza di assembramenti. Oltre a questo, va valutata la situazione immunologica del Paese: il 21% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino e gli studi ci dicono che, sebbene in misura minore rispetto a due dosi, anche una sola dose conferisce protezione dalla malattia e dal contagio. Inoltre, in Italia ci sono milioni di persone che hanno contratto l’infezione naturale e sono guarite, e oggi sappiamo che queste persone sono protette dalle reinfezioni, tanto quanto i vaccinati. Certamente, se avessimo vaccinato seguendo il rischio clinico oggi saremmo in una situazione più tranquilla, ma comunque, da un punto di vista immunologico, non siamo dove eravamo un anno fa. Covid, abolizione del coprifuoco: ecco cosa succede in Europa
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