Csm e verbali Amara: tutti i punti oscuri dell’ennesima storia di veleni tra toghe
“Ho ricevuto un plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell’ interrogatorio di un indagato reso nel dicembre 2019 dinanzi all’autorità giudiziaria. Nella lettera anonima quel verbale veniva indicato come segreto e l’indagato menzionava in forma diffamatoria se non calunniosa , circostanze relative a un consigliere di questo organo”. Viene a galla così, attraverso le parole del consigliere del Csm Nino Di Matteo, una storia che serpeggiava dietro le quinte già da tempo, ma che era rimasta nascosta fino all’ultimo plenum del Csm, di due giorni fa. Ed è una storia fatta di atti destinati a restare segreti ma poi diffusi, prima a consiglieri del Csm e poi ad alcuni giornalisti. Classica storia di veleni tra toghe. L’ennesimo colpo a una categoria che faticosamente provava a riprendersi dallo scandalo Palamara.
Di Matteo ha spiegato di aver consegnato quegli atti alla procura di Perugia, competente sui magistrati che lavorano a Roma. La vicenda è intricata, al momento due inchieste cercano di renderla chiara. Ma vale la pena ricostruirla per mettere in fila una serie di interrogativi che restano aperti.
Gli atti che approdano di nascosto al Csm, nella primavera del 2020, riguardano un interrogatorio di Piero Amara, l’ex avvocato esterno dell’Eni comparso in innumerevoli inchieste – vedi il sistema Siracusa e, per l’appunto, i processi Eni – e che da qualche tempo ha iniziato a parlare con varie procure. Dicendo cose non sempre riscontrabili.
Ora, questi verbali arrivano da Milano al Csm e non sono firmati. Il contenuto delle dichiarazioni, rilasciate alla fine del 2019, è scottante: vengono tirati in ballo tanti uomini delle istituzioni, tra cui l’allora premier Giuseppe Conte. Si fa riferimento a una presunta loggia massonica, denominata “Ungheria”, alla quale questi soggetti farebbero capo, e ad altri fatti più o meno verosimili. Fin qui, nulla quaestio. Sono le dichiarazioni di un soggetto, con dei patteggiamenti per corruzione alle spalle, che parla alla procura. Il problema è che questi documenti restano per mesi nell’armadio. Senza che il loro contenuto sia approfondito, per scoprire se c’è una qualche verità o si tratta solo di calunnie. Ed è proprio per questo che finiscono nelle mani di Piercamillo Davigo, fino a pochi mesi fa consigliere del Csm. A consegnarglieli è il pm di Milano Paolo Storari, che seguiva – ora non più – l’inchiesta sul presunto complotto ai danni dell’Eni. Perché Storari si prende la briga di dare queste carte a Davigo? Il magistrato sostiene di averlo fatto per “autotutela”, perché per sei mesi avrebbe chiesto delle indagini per approfondire il contenuto delle dichiarazioni di Amara. Non avendole ottenute, ha pensato di rivolgersi all’ex pm di Mani Pulite. Perché proprio a lui? Perché si conoscevano, è la risposta. Tutto normale, anche se gli atti erano riservati? Anche se l’operazione pare quantomeno inusuale, sembrerebbe di sì. Anche perché, spiega poi Davigo, “il segreto non è opponibile al Csm”.
Quindi in sostanza: abbiamo un pm che vorrebbe approfondire delle dichiarazioni facendo un’altra indagine. Nessuno lo ascolta nel suo ufficio, almeno questa è la sua tesi, e quindi lui si rivolge a un rappresentante dell’organo di autogoverno delle toghe, per renderlo edotto della questione.
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