Povero Paese ostaggio di un Fedez
di GABRIELE CANE’
Il dubbio è legittimo: siamo caduti in basso, o ci eravamo già?
Probabilmente sono veri tutti e due i quesiti. L’Italia di oggi offre il
vino che ha, modesto, e il caso Fedez,
che da due giorni appassiona il mondo politico e quello dei social, è
un ulteriore gradino che il Paese scende nella scala della qualità.
Perché la vicenda che ha oscurato pandemia, vaccinazioni, Recovery, è un
nulla in cui si mescolano modestia e ipocrisia.
Fedez (e lo sa
bene anche lui) non è Sartre e neppure Dario Fo, tanto per citare un
intellettuale e un artista che hanno animato dibattiti culturali e
politici, diviso le opinioni pubbliche.
È Fedez, buon cantante, ragazzo sveglio con ottimi appoggi familiari, molto impegnato sui social da cui trae ulteriore fama e benessere. Bravo. Ma non abbastanza da scuotere le coscienze, salvo quelle liquide, e strumentali, della politica. Risultato: il suo j’accuse innesca una messa in scena da avanspettacolo più che da concertone. In cui l’artista, fornito di apposita video registrazione, denuncia la censura della TV pubblica sul suo intervento in tema (o meglio fuori tema) di omofobia, con incorporato attacco alla Lega, nemica della relativa, discutibile, legge in discussione. Peccato che la contro registrazione della dirigente Rai testimoni che di censura non si è neppure parlato. Anzi.
Ma forse Letta e Di Maio non l’hanno neppure sentita nella fretta di gridare allo scandalo, chiedendo scuse e dimissioni: che sarebbe il censore che censura se stesso, visto che sono proprio i partiti gli editori della Rai, che sono loro a occupare pro quota ogni posto, strapuntino, scrivania. Che nel caso in questione, ironia della sorte, il tutto accade proprio nella rete, la Terza, che della sinistra è feudo incontrastato.
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