Gentiloni (commissario Ue agli Affari economici) al Messaggero: «L’Italia cresce più del previsto»

di Barbara Jerkov

Ottimista. Così si è detto l’altro giorno Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici, commentando sui social i dati relativi alle previsioni di crescita dei principali Paesi europei. 

Davvero il peggio è alle spalle e l’Europa torna a crescere, presidente Gentiloni?
«Parlavo di ottimismo nel commentare dei dati ancora negativi, nel senso che abbiamo avuto sia nel quarto trimestre dell’anno scorso che nel primo trimestre di quest’anno, un lievissimo segno meno: 0,5% di crescita negativa. Ricordavo tuttavia che la ripresa è in atto e sarà particolarmente forte nella seconda metà dell’anno. Quindi per rispondere alla sua domanda: sì, si torna a crescere. La reazione molto veloce e forte delle istituzioni Ue e di conseguenza dei singoli Paesi, ha attutito le conseguenze di un 2020 drammatico per l’economia reale. Naturalmente dietro questi numeri ci sono ferite sociali molto gravi da rimarginare. Penso al lavoro di giovani e donne o a settori tuttora in crisi nel commercio, nel turismo, nella ristorazione, nella cultura. Tuttavia l’ondata è stata contenuta e io credo che il vento di ripresa potrebbe anche esser più forte del previsto. La sfida sarà la qualità di questa crescita: se sarà sostenibile e se sarà duratura, non sarà solo un rimbalzo post crisi».

Possiamo azzardare dei numeri per l’Eurozona e soprattutto per l’Italia?
«Nelle previsioni d’inverno della Commissione parlavamo di crescita del 3,8% per il 2021 e 2022. Presenterò le nuove previsioni di primavera tra una decina di giorni e credo che potrebbero essere anche migliori. L’Italia? Potrebbe avere un buon livello e godere in particolare di una ripresa forte. Però, ripeto, il tasso di crescita è importante: il Fmi ha parlato per l’Eurozona di un tasso di crescita superiore al 4%, numeri che non vedevamo dal secolo scorso in Europa. Ma tutto ciò deve corrispondere a una economia più verde e a una crescita che non sia solo una fiammata dopo la caduta».

Di certo l’impressione è che a Bruxelles non veniamo più guardati con lo scetticismo di un passato ancora recente. S&P ha parlato di un effetto Recovery sul Pil di 6,5 punti percentuali nei prossimi 5 anni, che si ridurrebbero a 1,9 in uno scenario a basso impatto. Vuol dire che i tempi e il come realizzeremo le riforme promesse saranno altrettanto decisivi rispetto al quanto?
«Le nostre previsioni di primavera per la prima volta includeranno proprio l’impatto dei piani di Recovery. Direi che a contare non sarà tanto la velocità quanto il rispetto degli obiettivi e dei tempi previsti nel piano. E’ importante essere consapevoli del fatto che l’Italia ha messo sul tavolo tutte le carte disponibili. Si gioca, potremmo dire, l’intera posta, come cercando una spinta storica per uscire da oltre vent’anni di bassa crescita e alto debito. E’ una scelta giusta e impegnativa, non tutti i Paesi hanno utilizzato l’intero ammontare di prestiti disponibili. Questo vuol dire che il volume di risorse che arriverà sarà enorme e quindi il rispetto degli impegni presi, nei tempi che sono stati decisi, è fondamentale».

Cosa accadrebbe se una delle riforme previste dal piano non trovasse realizzazione nelle modalità e nei tempi previsti? C’è davvero il rischio che si blocchi il flusso di risorse?
«Sì. E’ insito nelle regole che gli Stati membri hanno deciso all’unanimità. Non dimentichiamo che questo piano viene da una decisione impensabile fino a un anno e mezzo fa di emettere un debito comune per obiettivi comuni. Una volta approvato il piano, tra due-tre mesi in media, ci sarà un primo finanziamento del 13% e poi via via ulteriori finanziamenti che arriveranno un paio di volte l’anno: per un Paese come l’Italia parliamo di tranche di una ventina di miliardi circa. Ebbene, sono legate al raggiungimento di obiettivi previsti nei tempi previsti. Se non vengono realizzati in modo sostanziale e se i tempi vengono disattesi in modo sostanziale, le tranche non arrivano. Non sarà una decisione discrezionale, perché tutto è stato fatto, tolto il primo finanziamento, per rendere questi successivi versamenti “oggettivi”».

Ci sono riforme, tra quelle promesse dall’Italia, che l’Unione considera più strategiche di altre?
«Ci sono delle priorità che riguardano tutti i Paesi europei, e che sono la transizione ambientale e la competitività digitale. Accanto a questi obiettivi generali, proprio perché ci giochiamo l’intera posta e andiamo in cerca di una spinta storica, per l’Italia sono fondamentali anche le riforme, da quella fiscale ai tanti aspetti legati alla concorrenza. E la giustizia, per un accorciamento dei tempi del processo civile che li avvicini alla media europea. E poi ancora, le politiche attive sul lavoro, la pubblica amministrazione, soprattutto in rapporto all’economia: gli investimenti, gli appalti. La fatica di queste riforme mi è chiara. Al tempo stesso, nel momento in cui fai una scelta così ambiziosa, e Mario Draghi ha messo in fila risorse per quasi 250 miliardi, devi cogliere l’occasione».

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