Troppi distratti in Europa

di Angelo Panebianco

Troppi distratti in Europa

Appena è stato annunciato l’accordo fra Francia e Italia per la riconsegna alle nostre autorità degli ex terroristi rifugiati in Francia, è accaduto quanto era prevedibile: è stato subito diffuso un manifesto di protesta di intellettuali francesi, alcuni di prestigio, in difesa degli ex brigatisti. La pubblicazione di quel manifesto si presta a due considerazioni. La prima, forse la meno interessante, riguarda gli atteggiamenti (sempre gli stessi) di certi intellettuali. La seconda, meno scontata, riguarda i sentimenti negativi che, da tempo immemorabile, ampi strati dell’opinione pubblica di ciascun Paese europeo nutrono nei confronti degli altri europei. Il pregiudizio anti-italiano a cui si ispira il manifesto di quegli intellettuali è presente in certi settori dell’opinione pubblica francese. Ma gli italiani non sono da meno, l’antipatia per la Francia non manca nel nostro Paese. E poi c’è ciò che i tedeschi o gli inglesi pensano degli italiani, gli italiani dei tedeschi, eccetera.

Consideriamo prima di tutto il manifesto degli intellettuali. Alcune affermazioni si possono condividere. È vero che quegli ex brigatisti sono persone ormai anziane e che non possono essere giudicate oggi con lo stesso metro con cui avrebbero dovuto essere giudicate allora. Ma il tono generale del manifesto è al di là della ragionevolezza. La difesa, totalmente acritica, della scelta che fece Mitterrand di dare protezione ai brigatisti contiene una implicita, insultante e infondata, valutazione sull’Italia.

Alcuni fra coloro che hanno firmato il manifesto sono recidivi: avevano firmato anche per Cesare Battisti. Forse è vero che tutti possono imparare dall’esperienza tranne certi intellettuali. Ovvero, non può essere accettata a scatola chiusa la tesi di Umberto Eco secondo cui una persona che legge, per ciò stesso, ne vale due che non lo fanno. Poiché ci sono anche infaticabili lettori incapaci di formulare giudizi sensati sul mondo che li circonda, la tesi di Eco, quanto meno, va meglio precisata. Certi che fanno un mestiere intellettuale(in Francia, in Italia e ovunque) possono essere troppo innamorati delle proprie idee — che sono spesso le idee di moda nei circoli che frequentano — per essere disposti a rivederle. Dal j’accuse di Émile Zola sull’affare Dreyfus al je me pavane (mi pavoneggio) dei tempi nostri. È la storia di molti manifesti — in favore della Pace, ma in versione sovietica, all’epoca della Guerra fredda, in favore della libertà del «perseguitato» Cesare Battisti, e in favore di tante altre sballatissime cause — firmati da intellettuali europei nel corso del tempo. Raramente chi firma ha approfondito l’argomento. Si firma per narcisismo, per farsi notare, per conformismo.

Il gesto di una congrega di disinformati narcisi non meriterebbe tanto spazio se non fosse per il pregiudizio anti-italiano che rivela. In pratica quel manifesto fa apparire, implicitamente, l’Italia degli anni Settanta come qualcosa di simile al Cile di Pinochet e i brigatisti come dei perseguitati. Stupidaggini che possono però essere sostenute senza correre il rischio di perdere faccia e reputazione perché sono compatibili con certe credenze dell’opinione pubblica, non sono in contrasto con un diffuso pregiudizio anti-italiano.

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