Troppi distratti in Europa

Con ciò però si cambia registro. Non si tratta più di stigmatizzare i comportamenti di certi intellettuali ma di riflettere sul futuro dell’Europa. Bisognerebbe valutare con più attenzione quanto radicati siano i pregiudizi, e i connessi stereotipi negativi, che certi europei coltivano gli uni nei confronti degli altri. Nonostante settantasei anni di pace in Europa e nonostante il processo di integrazione. Ciò spiega anche perché, a un certo punto, in diversi Paesi europei, siano diventati politicamente importanti i cosiddetti movimenti sovranisti. Certi leader italiani non parlerebbero della Germania nei termini negativi in cui ne parlano se non potessero fare leva su antichi pregiudizi anti-tedeschi. I leader delle democrazie nordiche fanno la stessa cosa quando si riferiscono ai mediterranei (italiani e greci in primo luogo). I sovranisti potrebbero presto scomparire oppure no, potrebbero avere ancora più successo oppure no. Ma i pregiudizi negativi incrociati fra gli europei, essendo il prodotto di secoli e secoli di storia costellata di guerre e continui soprusi reciproci, di sicuro continueranno a condizionarci.

La costruzione europea fu fin dall’inizio l’opera di minoranze, poche persone che nei vari Paesi avevano riflettuto sui disastri della prima metà del Novecento e ne avevano compreso la lezione. A quelle minoranze si devono le istituzioni europee. Istituzioni imperfette, imperfettissime, come ogni cosa umana. Ma anche preziose per tutti gli europei. Quelle minoranze si sono trascinate dietro le rispettive opinioni pubbliche. Ma hanno sempre dovuto fare i conti con quanto la storia ha depositato in Europa: antiche diffidenze dei vari gruppi nazionali gli uni nei confronti degli altri, ostilità che possono covare sotto la cenere per lungo tempo ma che in qualunque momento sono in grado di incendiare il paesaggio.

Certo, non ci sono soltanto ostilità e pregiudizi negativi. Una parte del pubblico europeo se li è lasciati alle spalle. Ma una parte no. È poco consolante il fatto che ci siano settori dell’éliteintellettuale che anziché contrastare quei pregiudizi li facciano propri e li alimentino. Per questo, soprattutto, l’Europa resta una costruzione fragile.

Lo storico dell’impero britannico John Seeley pensava che l’impero fosse il prodotto di a fit of absence of mind, letteralmente un impulso dovuto a una «assenza della mente», ossia a distrazione. L’idea era che l’impero fosse stato creato senza che gli inglesi ne avessero vera consapevolezza. Le minoranze che hanno costruito l’Europa sapevano per lo più (grosso modo) cosa stessero facendo e perché. Si ha talvolta l’impressione che molti europei, compresi certi intellettuali, le abbiano seguite per distrazione.

CORRIERE.IT


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