Conte: «Draghi? Difficile gestire una maggioranza molto larga»
di Francesco Verderami
Un’ora trascorsa a parlare non di Casaleggio ma di Draghi. E nel racconto di Conte, ovviamente, tutto inizia dalla fine, dalla crisi del suo governo, caduto «per una convergenza oggettiva di interessi». Che è un modo per evitare la parola «complotto» e al tempo stesso evocarla. «È chiaro che alcuni settori economici e politici volessero voltar pagina. Non ho elementi invece per dire se ci fossero anche degli incroci internazionali. Può essere che in questa operazione Renzi si sia prestato». Additare Renzi come unico colpevole è stato finora un alibi dei giallorossi per coprire responsabilità ed errori che invece furono collettivi e che Conte non nasconde: «Per mesi ci fu un’opera di logoramento. Ogni giorno si parlava solo di rimpasto. Si arrivò al punto che la questione venne sollevata in Parlamento dall’allora capogruppo del Pd Marcucci. Il fatto è che i partiti di maggioranza avevano scaricato su di me il problema».
È evidente il riferimento a Zingaretti, Di Maio e Renzi, sebbene Conte ripeta sempre «i partiti»: «I partiti volevano che fossi io a cambiare i ministri. Alcuni di loro venivano presi pubblicamente di mira. Tutto questo indebolì il mio governo». Fu allora che Renzi staccò la spina: «L’ho sempre considerato un problema. E visto che i sondaggi di Iv non decollavano, ruppe. Non so se puntasse davvero a questa soluzione della crisi: un politico non accetta facilmente di cedere il potere a un tecnico». Il «tecnico» è Draghi, «e non mi sorprese che fosse lui il mio successore. Se ne parlava da tempo». Come da tempo si parlava di attriti verso l’ex presidente della Bce: «Un falso costruito ad arte. Non era vero che non corresse buon sangue». Eppure Draghi non fu invitato agli Stati generali indetti dal governo, nonostante partecipassero anche cantanti e artisti, come Elisa e Monica Guerritore: «Intanto c’erano Lagarde e von der Leyen. Se non c’è stato Draghi è perché in quel momento non aveva un ruolo. Ma ho sempre espresso attestati di stima per una grande personalità italiana, tanto che gli chiesi se potevo impegnarmi sul suo nome per un incarico in Europa. Lui però declinò». E uscì la storia che fosse «stanco». «In effetti quella frase mi venne un po’ male, ma non era per tagliarlo fuori».
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