Gli affari segreti in Serbia di Marco Zanni, l’uomo di Matteo Salvini
L’Estonia ha il
vantaggio di essere al contempo europea ed esotica, futurista e
flessibile. Nei primi mesi del 2018, dunque, la famiglia Zanni e gli
amici di Lovere e della vicina Sovere vanno in Estonia a costituire la
Leviathan Holding, evidente omaggio al Leviatano, non sappiamo se nella
versione della figura classica della Bibbia o della rilettura di Hobbes.
Gli azionisti di Leviathan sono tre società estoni dietro cui c’è la
comitiva bergamasca. La famiglia Zanni partecipa a Leviathan con la
società Zx3 Investiment. È questa l’unica sigla che, senza altri
riferimenti, compare nei documenti che il parlamentare europeo leghista
ha depositato a Bruxelles nel luglio 2019. Zx3 sta per Zanni per tre
poiché dentro ci sono Marco Zanni e i parenti Paolo e Michele.
L’amministratore di Leviathan è Kaja Manniko, una signora estone che in
Italia è referente di un’azienda che fabbrica casette in legno e che
risiede in una zona rurale sul mar Baltico dove sono domiciliate diverse
società di italiani. Leviathan non produce nulla e, si legge nella
relazione finanziaria, «svolge una attività di servizi di tecnologia
dell’informazione, incluso mining di criptovalute e gestione di server».
Dal medesimo atto si evince che Leviathan ha una filiale in Serbia e
che si chiama Only the brave. Questa società di Belgrado è stata fondata
negli stessi giorni in cui in Estonia, a duemila chilometri di
distanza, Zanni con amici e parenti creava la Leviathan.
Only the brave opera nel settore dell’informatica, per la precisione dei data center, i suoi soldi transitano su tre conti di Banca Intesa di Belgrado ed è amministrata da Silvano Zanni, il papà di Marco. Nessuno degli azionisti di Only the brave, nessuno nella controllante estone Leviathan, né tantomeno Silvano Zanni, ha particolari competenze nell’informatica, però l’esordio in Serbia è stato eccezionale: il bilancio del 2018, con scarsi nove mesi di lavoro, ha registrato ricavi per mezzo milione di euro con un utile di una decina di migliaia di euro. Un indubbio successo per degli imprenditori che non hanno trascorsi in Serbia e per una azienda a cui non risultano intestate strutture adeguate alle macchine dei data center. Nel 2019 viene confermato l’utile, però i ricavi si dimezzano. I dati del 2020 non sono ancora pubblicati, ma è stato un anno di grosse trasformazioni. La famiglia Zanni ha liquidato la Zx3 perché si è fusa in Leviathan con le altre due società estoni degli amici di Marco. Il parlamentare europeo fa sapere che questo procedimento prelude a una ritirata: «Il gruppo è una iniziativa di start-up nel settore della blockchain. Only the brave svolge quasi esclusivamente servizi per la capogruppo, il resto sono piccoli clienti privati che necessitano di potenza computazionale. Il gruppo non intrattiene rapporti di fornitura o vendita con soggetti pubblici. Dalla fine dello scorso anno l’iniziativa è in via di smantellamento e i soci stanno procedendo alla chiusura delle società del gruppo, operazione che dovrebbe terminare entro l’estate». Secondo il registro delle imprese estoni aggiornato a questi giorni, il processo che ha condotto alla nuova Leviathan si è concluso a novembre del 2020 con l’approvazione in assemblea dello statuto e adesso Zanni, in forma individuale e non più con il veicolo Zx3, ne è l’azionista principale. Lo scorso ottobre, assieme agli italiani Antonio Maria Rinaldi, Francesca Donato e Valentino Grant, con una interrogazione parlamentare a Fabio Panetta della Bce, Zanni chiedeva se per l’euro digitale si intendesse utilizzare il sistema di blockchain che ha «dimostrato di essere inviolabile e robusto, ma rintracciabile solo nei confronti delle parti contraenti». In fondo, parlava anche per esperienza personale.
Gli altri componenti di Leviathan hanno raccontato all’Espresso che l’avventura in Serbia fu studiata per comodità geografica, per convenienza dei prezzi come la corrente elettrica, per l’ipotesi di un’adesione di Belgrado all’Ue. L’impresa va attribuita a Zanni, lo stesso che da parlamentare europeo, capo di un gruppo di 72 membri che vanno dai nazionalisti francesi di Marine Le Pen al movimento tedesco contro gli immigrati di Alternativa per la Germania, negozia con i serbi il loro sbarco nell’Europa unita. Allora ha diverse ragioni Zanni, come è successo, per contestare il critico rapporto sui serbi del Parlamento europeo. La passione per Belgrado ha travolto anche il capo Salvini che, appena un mese fa, mentre Bruxelles esprimeva le sue perplessità, si è detto pronto a dare il suo benvenuto alla Serbia nell’Ue. Era il 31 marzo. Il giorno dopo, accompagnato proprio da Zanni, Salvini è andato a Budapest a disegnare la sua Europa con il premier ungherese Viktor Orbàn e il premier polacco Mateusz Morawiecki, due esempi di governi autoritari, reazionari e dunque allergici ai diritti civili, comunque appartenenti all’Ue. Zanni viene considerato un leghista da sempre e gli viene perdonata l’origine nei 5 Stelle. I suoi modi decisi e le sue idee marcate, ben radicate nel sovranismo, hanno convinto Salvini a consegnargli il raccordo delle relazioni in Europa. Zanni è fedele all’immagine di Salvini prima che si scoprisse estimatore di Draghi. Formano una coppia politica dalle buone premesse. Chissà cos’altro hanno. In serbo.
L’ESPRESSO
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