Radicali, referendum e Salvini: i cattivi perfetti
Qualche settimana fa, in uno stupefacente editoriale sul Fatto Quotidiano, John Henry Woodcock ha sostenuto l’opportunità della separazione delle carriere. Woodcock, sostituto procuratore dell’Antimafia di Napoli, è stato un illustre esponente, quanto volontario non so, di una certa magistratura da patinato, da entertainment, con inchieste che si chiamavano Vallettopoli, Vip Gate, P4, con indagati istituzionali come Franco Marini o Nicola Latorre, indagati da prima serata come Tony Renis o Elisabetta Gregoraci, indagati si potrebbe dire, ormai, da demi-monde, come Vittorio Emanuele di Savoia e Luigi Bisignani, e tutte coronate da travolgente successo. Non tanto nei tribunali, che le hanno spesso smontate o pesantemente ridimensionate, ma nel format da fiction in coproduzione fra magistratura e giornalismo, per belle paginate o belle trasmissioni con cui tirare allegramente sera.
In questo stupefacente editoriale, Woodcock spiegava che, a differenza di Venere, le inchieste non nascono dalla spuma del mare, che le priorità assegnate e il dispiegamento di uomini impiegato comportano una discrezionalità mai sindacabile e dunque opaca, che dopo i disvelamenti di Luca Palamara una riforma radicale è indispensabile, in particolare che i giudici dovrebbero essere indipendenti non soltanto dal potere politico ma anche da quello dei pubblici ministeri, perché i pubblici ministeri si sono abituati a una considerazione di privilegio da parte dei giudici e si sono abituati a vincere facile (o a perdere senza conseguenze, aggiungo io). Forse mai avevo letto un’analisi tanto lucida e onesta di un magistrato in carriera, e va a onore di Woodcock.
Il giorno stesso noi di HuffPost gli abbiamo chiesto un’intervista, purtroppo rifiutata. Non è un problema. Il problema è che la riflessione di Woodcock è stata rifiutata dal resto del mondo. Ignorata dalla grande stampa, dai grandi colleghi in toga, è passata come uno starnuto a teatro, siccome gran parte della magistratura è gelosa della sua abnorme indipendenza tradotta in anarchia, se ne sente degna e castale portatrice, e siccome la politica, specialmente a sinistra, continua a reputarsi un potere minore e si comporta da tale. E credo c’entri l’abitudine sovietica di cancellare il dissidente, di escluderlo dal panorama, di togliergli il diritto di cittadinanza (pensate alla meraviglia di Luca Paladini dei Sentinelli, che non ha voluto nei suoi canali social il video in sostegno alla legge Zan di Alessandra Mussolini, perché non si accetta solidarietà dai fascisti; dunque se dici qualcosa contro la legge Zan sei fascista, ma se sei fascista non puoi dire qualcosa a favore della legge Zan, e mi sembra un approccio di perfezione fascista).
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