Tribunali in crisi/ La riforma duratura che il governo non può fare

Se infatti i cittadini potessero, come la Lince di Beozia, vedere sotto la pelle della giustizia penale, troverebbero un organismo corroso, metastatizzato da una serie di incurabili e invadenti neoplasie. Quando, più di un anno fa, lo scandalo Palamara investì il Csm, tutti capirono, o avrebbero dovuto capire, che eravamo solo agli inizi, o meglio agli inizi della fine. Da principio si dimisero alcuni consiglieri, sui quali il Procuratore Generale aveva iniziato un’indagine disciplinare; poi si dimise lo stesso Procuratore, anche lui finito nelle intercettazioni. 

Il Csm che, come nella sinfonia degli addii di Haydn, continuava a perdere orchestrali, credette di cavarsela radiando Palamara e mettendoci una pietra tombale. Ma il morto ha afferrato il vivo, ed eccoci allo scandalo, secondo noi ancora più grave, di questi giorni. Non staremo, per carità di patria, a rievocare le anomalie che hanno contrassegnato i comportamenti dei vari protagonisti, nessuno dei quali esce indenne da questa poco edificante vicenda.

Certo, fa quasi tenerezza ascoltare il vicepresidente Ermini che lamenta un tentativo di delegittimazione del Consiglio, come se questo non si fosse delegittimato abbastanza da sé. E mentre tre o quattro procure indagano, e indagheranno, sui comportamenti di chi ha consegnato atti secretati, di chi li ha ricevuti e di chi li ha diffusi, il cittadino attonito, sgomento e disgustato si domanda se sia possibile rimediare a questa umiliante disgregazione con accorgimenti modesti e parziali.

Ecco perché, con tutto il rispetto per la ministra Cartabia, questo programma è troppo ridotto. Una riforma efficace e duratura dev’essere ben più radicale: occorre attuare davvero i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata; occorre mutare l’intera struttura del Csm, rivedere integralmente la disciplina delle intercettazioni, separare le carriere, e in definitiva riportare il codice alla sua originaria ispirazione garantista e liberale. 

Vasto programma, direbbe De Gaulle, che questo Parlamento non ha l’intenzione né la forza di fare. E infatti gli eredi di Pannella stanno predisponendo un referendum che scuota l’inerzia istituzionale come fece cinquanta anni fa sconfiggendo il conservatorismo retrivo degli antidivorzisti. Sarebbe un successo della civiltà giuridica, ma l’ennesima sconfitta di una politica fiacca, ancora intimidita dalle toghe.

IL MESSAGGERO

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